Le origini
La produzione di conserve alimentari ha sempre accompagnato il percorso evolutivo dell’uomo. Tutto nasce nel momento in cui l’uomo, passando da uno stato di nomadismo a uno di sedentarietà e organizzazione in clan, inizia a intraprendere le prime attività di agricoltura e allevamento e sente, quindi, la necessità di separare, nel tempo e nello spazio, il momento della caccia-raccolta da quello del consumo. Le conserve hanno, per loro natura, proprio questa finalità, come si deduce dall’origine latina del termine “CUM SERBARE” che significa “tenere con (se)”, “custodire insieme”, “conservare e mantenere inalterato” [1].
Nei secoli, la diversa disponibilità di risorse naturali ha permesso la nascita di varie tecniche di conservazione: salatura e affumicamento/affumicatura del pesce nei paesi costieri del Nord Europa, aceto e salamoia per gli ortaggi in quelli del Mediterraneo. Risalgono, poi, al XX secolo i primi processi produttivi industriali che sfruttano le nuove tecnologie e i primi macchinari automatizzati [2]
Ancora oggi il settore conserviero rappresenta un segmento importante del comparto produttivo agroalimentare sia in termini di fatturato/esportazioni che di numero di lavoratori coinvolti. Secondo i dati Istat, riportati sull’Export Planning Magazine a settembre 2018, i fatturati esteri delle imprese italiane agroalimentari hanno registrato un ritmo di crescita prossimo al 4%. Vino, conserve e dolciumi sono i prodotti con i dati più significativi; Salerno e Foggia, con le loro conserve, si sono rivelati il motore trainante dell’esportazione all’estero [3].
Dati così incoraggianti incentivano la ricerca di soluzioni tecnologiche sempre più sofisticate e rispondenti alle necessità del settore, che comprendono sia quelle dell’imprenditore (riduzione dei costi, conformità alle normative vigenti ed efficienza dei trasporti), ma anche quelle del consumatore (qualità dei prodotti, praticità d’uso, accessibilità dei prezzi e sostenibilità, un aspetto per il quale si sta sviluppando una sempre maggiore sensibilità).
Grande varietà
La definizione generica di conserva racchiude una vastissima gamma di prodotti con caratteristiche peculiari che ne consentono la classificazione in sottocategorie. Una prima sommaria distinzione può essere fatta sulla base delle materie prime utilizzate:
- frutta (marmellata, confettura, candita o sciroppata)
- ortaggi (in olio, aceto, al naturale o in salamoia)
- pesce (in olio, sotto sale, al naturale)
- carne (sotto vuoto, in gelatina, essiccata).
Un’importante distinzione tecnica deve essere fatta tra conserve e semiconserve. Le prime subiscono un processo termico di sterilizzazione che determina la morte di tutte le forme microbiche vegetative (comprese le spore) e l’inattivazione degli enzimi. In confezione ermetica, possono avere una durata molto lunga ma non illimitata perché, seppur molto lentamente, il processo di deterioramento avanza nel tempo. Possono essere considerati prodotti molto stabili e, per questo, conservabili a temperatura ambiente. Le semiconserve, invece, vengono sottoposte a un processo termico più blando, la pastorizzazione, che disattiva gli enzimi e distrugge tutte le forme microbiche vegetative patogene, eccetto le spore e le forme termoresistenti. I processi moltiplicativi di queste ultime possono essere inibiti attraverso altre tecnologie:
- basse temperature di conservazione, che rallentano il ciclo vitale dei microorganismi;
- conservanti batteriostatici: acido acetico, acido sorbico, anidride solforosa, acido borico, acido benzoico, ecc.
- riduzione del pH tramite acidificazione: acido citrico, acido lattico, aceto, ecc.
- riduzione dell’aW per evaporazione oppure tramite aggiunta di sale o zucchero.
Per questi prodotti non si raggiunge la sterilità commerciale, motivo per cui la loro durabilità è più limitata [4].
Un altro elemento di differenziazione tra le conserve è rappresentato dal packaging. Affinché il trattamento termico garantisca durabilità al prodotto, è necessario che quest’ultimo venga tenuto in un contenitore ermetico, al riparo da ulteriori fonti di contaminazione.
Diversi sono i materiali utilizzabili, ma nella loro scelta bisogna tener conto delle caratteristiche chimico-fisiche del prodotto e delle necessità di servizio (prodotto liquido, solido, porzionabile, per uso “on the road”).
La banda stagnata è leggera e impermeabile all’ossigeno e alla luce; per questo motvo, è particolarmente adatta per gli alimenti più sensibili ai processi ossidativi e viene solitamente usata per tonno, sardine e legumi.
Il vetro ha come svantaggi il peso e la fragilità, ma la sua trasparenza lo rende commercialmente indispensabile per quei prodotti in cui l’aspetto è decisivo per la scelta d’acquisto del consumatore (ad es. le conserve vegetali).
Le confezioni in Tetra Pak rappresentano un giusto compromesso fra costo e leggerezza, facilità di riciclo e protezione degli alimenti. Sono solitamente utilizzate per prodotti liquidi (latte, succhi e passate di pomodoro) grazie anche alla loro possibilità di apertura e chiusura.
Le plastiche presentano bassi costi di produzione, leggerezza, trasparenza ma scarsa resistenza al calore, limitata biodegradabilità e un probabile rischio di tossicità. Sono solitamente usate per contenere prodotti lattiero – caseari (latte, formaggi freschi, yogurt).
La porcellana e la maiolica, invece, prestandosi bene ad un uso di carattere artistico, sono particolarmente adatti per i prodotti destinati al settore turistico; il loro costo elevato e la loro non facile maneggiabilità non li rendono, infatti, compatibili con i processi produttivi industriali [5].
Entrando nella sfera del marketing, le conserve rappresentano oggi una realtà produttiva in continua evoluzione, grazie alla spinta data dalle nuove tendenze al consumo e dagli attuali stili di vita. Ecco che compaiono sul mercato prodotti sempre nuovi: Topinambur al naturale (un tubero ancora poco conosciuto) e marmellate di frutta esotica (mango, papaya) per coloro che sono sempre alla ricerca di novità da portare in tavola; nuovi abbinamenti ortaggi-spezie (carciofo alla curcuma, olive allo zenzero) per chi vuole beneficiare delle proprietà nutritive delle spezie; succhi di frutta prebiotici (con aggiunta di fibre) e probiotici (con ceppi microbici resistenti a livelli di acidità molto bassi) per gli attenti salutisti; formati monoporzione di tantissimi alimenti (acqua, succhi, frutta, insalate e tanto altro) in risposta alle esigenze dei single o di chi vive tutto il giorno fuori casa.
Per lungo tempo quello delle conserve, in particolare quelle vegetali, è stato considerato un mercato prevalentemente statico, incapace di rinnovarsi nella sostanza oltre che nella forma. I recenti segnali provenienti dal mercato attuale mostrano, invece, una ritrovata vivacità e una nuova tendenza alla differenziazione che risponde in modo perentorio al diktat “soddisfare i bisogni e i desideri del consumatore”.
[1] Treccani, Istituto della Enciclopedia Italiana
[2] F. EMANUELE, Industria delle conserve. Milano, Hoepli, 1944
[3] Export Planning Magazine, Marcello Anonioni, 22 Settembre 2018
[4] Quaderno ARSIA 7/2004, La produzione delle conserve vegetali
[5] Food Packaging. Materiali, tecnologie e qualità degli alimenti, 2010, di Luciano Piergiovanni e Sara Limbo
Agnese Stella
Tecnologo alimentare con una decennale esperienza nel settore dell’industria alimentare, maturata, sia in qualità di consulente esterno che di tecnico aziendale interno, in diversi settori food (tra cui, soprattutto, quello delle conserve vegetali).