Nella filiera dell’industria alimentare spesso ci si concentra molto sulla qualità e sul processo di reperimento, preparazione e analisi del prodotto alimentare e poco su come questo debba mantenere le sue caratteristiche nel tempo e fino al suo fine vita commerciale. Ecco che il settore degli imballaggi alimentari si inserisce nella complessa filiera dell’industria alimentare, come elemento fondamentale e che richiede professionalità specifiche che conoscano le caratteristiche del prodotto e allo stesso tempo le tecnologie che regolano il food packaging.
Funzione di una confezione per alimenti [1]
Cerchiamo di comprendere in modo sintetico ma dettagliato quali sono le finalità del confezionamento alimentare al fine di percepire anche il valore tecnologico che ha questo settore nell’industria alimentare:
- contenere adeguatamente il prodotto alimentare (ad es. bottiglie, barattoli, confezioni di plastica multistrato, vaschette espanse o compatte, ecc.);
- proteggere l’alimento da danni meccanici;
- rappresentare un’adeguata barriera ai gas e vapori in caso di confezionamento in atmosfera protettiva;
- prevenire o ritardare il deterioramento biologico e fisico dell’alimento;
- facilitare il trasporto e il magazzinaggio/lo stoccaggio;
- conferire al prodotto alimentare un aspetto attraente;
- offrire un’opportunità di informazione al consumatore e consentire l’identificazione sicura del prodotto tramite l’etichettatura o le indicazioni stampate direttamente sulla confezione.
Tutto quanto sopra descritto ha concretamente permesso di passare da una rete di commercializzazione circoscritta e limitata ad una distribuzione su larga scala in tutte le parti del mondo, grazie anche ai principali autori della Grande Distribuzione Organizzata (GDO).
Idoneità alimentare degli imballaggi [2]
Un prerequisito fondamentale per gli imballaggi ad uso alimentare è la loro idoneità, che riguarda sostanzialmente la qualità del materiale destinato ad entrare in contatto con gli alimenti; questo, infatti, non deve apportare alcuna modificazione o contaminazione (sia essa di natura chimica, microbiologica o sensoriale) al prodotto.
La questione del controllo dell’idoneità alimentare dei materiali da imballaggio e dei contenitori è disciplinata da un serie di norme italiane ed europee e di interventi del Ministero della Salute (risalenti al 1973) nell’opera di armonizzazione/omologazione regolamentare all’interno dell’UE. La sovrapposizione di norme nazionali e comunitarie ha reso, e in parte rende ancora, la materia piuttosto complessa e soggetta a continue modifiche; tuttavia, vi sono alcuni principi fondamentali che accomunano da sempre sia le norme nazionali che europee:
- il principio dell’“inerzia” del materiale e della “purezza” dei prodotti alimentari. Secondo tale principio, i materiali e gli oggetti per l’imballaggio alimentare non devono cedere agli alimenti componenti in quantità tale da rappresentare un pericolo per la salute umana e provocare una modificazione inaccettabile della loro composizione nutritiva o un’alterazione delle loro caratteristiche sensoriali;
- il principio della cosiddetta “etichettatura positiva”, secondo il quale i materiali o oggetti destinati al contatto con gli alimenti devono, a seconda dei casi, essere accompagnati da documenti che ne attestino l’idoneità e dall’indicazione “per alimenti” o da un simbolo appropriato (Fig. 2);
- la standardizzazione delle procedure di verifica e individuazione delle responsabilità circa la conformità degli oggetti destinati al contatto con gli alimenti.
Per poter entrare in contatto con gli alimenti, qualsiasi materiale, tra quelli disciplinati dalla legge, deve essere prodotto utilizzando solo materie prime note, ritenute sicuri ed elencate in apposite liste. Questo principio è stato introdotto in Italia da un Decreto del Ministero della Sanità (DM 21.03.1973 e successive modifiche) e si applica, oggi, al vetro, ai materiali cellulosici, all’acciaio inossidabile, alle bande stagnate e cromate, alle ceramiche, all’alluminio e alle gomme. Per quanto riguarda, invece, le materie plastiche, sulla base di norme Europee, si applica ai monomeri, agli additivi e alle altre sostanze utilizzabili nella produzione di oggetti in plastica (Regolamento 1935/2004/CE; Regolamento 1895/2005/CE; Regolamento 2023/2006/CE e successivi emendamenti e Regolamento 10/2011/CE e successivi emendamenti compreso il Regolamento 37/2019).
Fattori che influenzano la shelf-life degli alimenti [4]
Innanzitutto, credo sia importante dare la definizione di shelf-life più comunemente condivisa nell’ambiente scientifico delle tecnologie alimentari, ossia: “periodo di tempo che corrisponde, in definite circostanze (packaging, temperature di conservazione, condizioni di trasporto), a una tollerabile diminuzione della qualità di un prodotto confezionato”.
La complessità e variabilità del problema della shelf-life derivano sia dalla molteplicità delle tipologie di confezionamento e conservazione, sia dal fatto che la durabilità di un alimento confezionato dipende, in ogni circostanza, da numerosi fattori. Tali fattori possono essere ricondotti:
- alla composizione dell’alimento (carica microbica, pH, attività dell’acqua, concentrazione di soluti, presenza di inibitori o promotori e catalizzatori);
- all’ambiente (effetti della luce, della temperatura di conservazione, dell’umidità, della concentrazione di ossigeno);
- al suo imballaggio (aspetti che riguardano direttamente il packaging, come la barriera ai gas, alla trasparenza alla luce, alla permeabilità al vapor acqueo, alla capacità di resistenza alle sollecitazioni meccaniche e termiche, e la sua inerzia nel contatto con l’alimento.
Queste tre categorie di fattori non possono, dunque, essere considerate separatamente in quanto, nella maggior parte dei casi, interagiscono tra di loro, influenzandosi vicendevolmente. Le modalità di deterioramento degli alimenti e delle bevande e i tempi di conservazione risultano, per questo, differenti e assai variabili a seconda del singolo caso. Ecco perché la presenza, all’interno di un’industria alimentare, di una figura specializzata nell’ambito del food packaging è di primaria importanza, al fine di comprendere meglio come poter conservare e proteggere il prodotto alimentare confezionato e destinato alla distribuzione su vasta scala.
Imballaggi plastici [3]
In quest’ultimo paragrafo, mi soffermerò brevemente sugli imballaggi plastici; in primo luogo, perchè questi rappresentano la categoria di materiali maggiormente utilizzati per la conservazione di alimenti freschi. In secondo luogo, perché costituiscono il comparto del food packaging che meglio conosco, dato il mio lavoro in una delle aziende leader europee nel campo della produzione di imballaggi plastici ad uso alimentare. Infine, per il grande dibattito mediatico che questi imballaggi stanno sollevando a proposito dell’inquinamento marino e degli animali.
I polimeri maggiormente impiegati nel packaging alimentare sono il polietilene (PE), il polistirene (PS), polietilentereftalato (PET) e il polipropilene (PP). Essi sono codificati e stampati sul fondo delle confezioni plastiche per agevolare la raccolta differenziata e il riciclaggio. I diversi materiali vengono scelti in funzione delle loro caratteristiche di trasparenza, permeabilità ai gas e al vapore acqueo, applicazione durante la conservazione (surgelazione, refrigerazione, ecc.), utilizzo finale del prodotto (rigenerazione del prodotto in microonde, in forno tradizionale, ecc.).
Oggi, entrando semplicemente in un supermercato o discount, possiamo osservare che la quasi totalità degli alimenti freschi (carne, pesce, salumi, prodotti di gastronomia calda e fredda, ortaggi e frutta pronta o di IV gamma, ecc.) è confezionata in imballaggi o vaschette di plastica, in quanto questa rappresenta attualmente la miglior modalità tecnologica per conservare correttamente gli alimenti ad un costo ragionevole e conferendo al prodotto un attraente aspetto estetico, un’ efficace protezione da danni meccanici e termici ed, infine, un’elevata facilità di trasporto (vista l’importanza che la logistica riveste oggi nella filiera alimentare mondiale).
Cito un esempio su tutti: le vaschette in polistirene espanso estruso (XPS) (Fig. 3), che troviamo nel reparto macelleria, permettono di conservare in modo sicuro l’alimento, garantendo una barriera termica eccellente e una formidabile resistenza meccanica. Si tratta di un imballaggio leggero ed igienico, costituito per il 95% da aria e per il restante 5% da materiale plastico.
Da non trascurare anche il fatto della sua riciclabilità o, per meglio dire, della sua possibilità di ri-utilizzo, in quanto tutti gli imballaggi plastici sono riciclabili ma solo una minima parte viene ri-utilizzata per il medesimo o altri usi. Anche il sistema di smaltimento dei rifiuti deve essere, senza dubbio, modificato, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, come testimonia questa frase che, seppur possa sembrare poco scientifica, rende perfettamente l’idea: “Non ho mai visto un sacchetto o un contenitore di plastica camminare verso il mare, ma sicuramente è stato l’uomo, con le sue operazioni e i suoi processi, a farlo arrivare fin li, determinando, in modo spesso consapevole, una modifica irreversibile dell’ecosistema nel suo complesso”.
[1] Food Packaging. Piergiovanni e Limbo. Springer. 2010
[2] Migration from food contact materials. Chapman and Hall. Katan LL ed. 1996
[3] Plastics in food packaging. Brown WE. Mercel Dekker. 1992
[4] Food Packaging and Shelf Life. Robertson GL. CRC Press. 2009
Marco Frusca
Dott. Frusca Marco, classe 1984. Laureato in Qualità e Sicurezza dell’Alimentazione Umana presso l’Università degli Studi di Milano. Da nove anni impiegato nel Dipartimento Assicurazione Qualità- Ricerca e Sviluppo presso l’azienda Sirap Gema SpA di Verolanuova (BS), leader UE nel mercato degli imballaggi alimentari. Appassionato di tecnologie alimentari, microbiologia alimentare e conservazione degli alimenti.