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È spesso possibile trovare in commercio integratori alimentari che vantano proprietà terapeutiche, capacità di prevenzione e, addirittura, di cura di molteplici malattie.
Non è tuttavia corretto promuovere simili effetti con riferimento agli integratori alimentari, poiché questi prodotti, a differenza dei farmaci, sono dei veri e propri alimenti, unicamente intesi per integrare la comune dieta e mantenere in buona salute l’organismo, senza esercitare alcun intervento su una qualsiasi condizione patologica.
Ma come possiamo pubblicizzare un integratore alimentare? E come farlo senza incorrere in affermazioni ambigue per i consumatori? Qual è il contesto normativo di riferimento?
La normativa e i relativi principi
Alla pubblicità degli integratori alimentari si applicano sia le normative europee in materia di informazione dei consumatori, sia la normativa settoriale specifica, solo parzialmente armonizzata a livello europeo e quindi caratterizzata da notevole eterogeneità a seconda dello Stato membro interessato.
In sintesi, tutte le norme ora elencate vietano la pubblicità non veritiera ed ingannevole.
La regola generale è dettata all’articolo 16 del Regolamento (CE) n. 178/2002, il quale prevede che l’etichettatura, la pubblicità e la presentazione degli alimenti non debbano trarre in inganno i consumatori. Ancora più in particolare, è l’articolo 7 del Regolamento (UE) n 1169/2011 a prevedere norme più specifiche in materia di pratiche leali di informazione, vietando infatti che le indicazioni rese disponibili sugli alimenti (tra cui la natura, l’identità, le proprietà, la composizione, la provenienza ed il metodo di produzione) inducano in errore il consumatore.
Non solo. Le disposizioni specifiche per il diritto alimentare corrispondono a quanto sancito dal Codice del Consumo, che vieta all’operatore economico di porre in essere pratiche ingannevoli, ivi compresa la pubblicità. Si tratta di pratiche commerciali che contengono informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corrette, idonee ad indurre in errore il pubblico riguardo alle caratteristiche principali del prodotto e suscettibili di persuadere il consumatore, facendolo assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
Le disposizioni sugli integratori alimentari inoltre…
Le disposizioni in materia non finiscono qui. Anche le previsioni del Codice Civile sulla concorrenza sleale sanzionano tutti gli atti non conformi ai principi di correttezza professionale ed idonei a danneggiare l’altrui azienda, tra cui, per l’appunto, il mendacio concorrenziale e la pubblicità ingannevole. Sul punto, è inoltre da richiamare anche la disciplina del D.lgs. 145/2007 che definisce, all’art. 2, co.1, lett. b) la “pubblicità ingannevole” come una qualsiasi pubblicità che è idonea ad indurre in errore i consumatori e che, proprio a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, sia idonea a ledere un concorrente. Non da ultimo, è indispensabile non tralasciare anche il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, il quale dedica l’articolo 2 alla “Comunicazione commerciale ingannevole” indicando come la “comunicazione commerciale deve evitare ogni dichiarazione o rappresentazione che sia tale da indurre in errore i consumatori, anche per mezzo di omissioni, ambiguità o esagerazioni non palesemente iperboliche, specie per quanto riguarda le caratteristiche e gli effetti del prodotto“.
Senza dimenticare le ora citate disposizioni, applicabili universalmente alla pubblicità di tutti i prodotti alimentari, è necessario avere bene a mente la disciplina ancor più puntuale appositamente prevista per gli integratori alimentari. Indubbiamente, anche i messaggi pubblicitari riferiti a questi prodotti non devono essere ingannevoli, fuorvianti, o indurre i consumatori in errore circa le proprietà dei prodotti che si accingono ad acquistare. Ma la normativa è ancor più precisa su questo aspetto. È infatti il D. Lgs. 169/2004 a prevedere inequivocabilmente all’articolo 7 che l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità non devono attribuire agli integratori alimentari proprietà terapeutiche, capacità di prevenzione o cura delle malattie né fare riferimento a simili proprietà.
The bad and the good – Come si possono pubblicizzare gli integratori alimentari?
I messaggi pubblicitari riferiti ad un integratore alimentare non devono:
- indurre il consumatore a credere che il prodotto abbia effetti simili a quelli di un farmaco, e quindi sia inteso a prevenire o curare una situazione patologica;
- essere ingannevoli, fuorvianti, o indurre in errore sulle proprietà del prodotto;
- contenere indicazioni scientifiche prive di fondamento o non approvate dalle autorità competenti;
- suggerire al pubblico che, in caso di mancata assunzione del prodotto, la salute verrebbe compromessa;
- affermare che il consumo di integratori può suggerire una dieta sana e variegata;
- incentivare l’abuso dei prodotti.
Dall’altro lato, la pubblicità di un integratore alimentare:
- può contenere espressioni che facciano riferimento al mantenimento di uno stato di salute e benessere dell’organismo;
- può riferirsi a una condizione fisiologica;
- può utilizzare indicazioni che siano state approvate dall’EFSA o dalla Commissione Europea;
- può utilizzare health claims e nutritional claims approvati, di cui Regolamento 1924/2006 e al Regolamento 432/2012;
- può servirsi di indicazioni che abbiano fondamento scientifico.
Pubblicità integratori alimentari: I casi più recenti
È ormai chiaro: nel pubblicizzare gli integratori alimentari è necessario evitare qualsiasi inferenza o collegamento che possa creare, anche indirettamente, nella mente del consumatore l’idea che il prodotto sia volto a curare o prevenire una situazione patologica, da una semplice influenza, a disfunzioni indubbiamente più gravi.
Il caso Ansiolev
Ebbene, proprio in questo contesto, un ruolo fondamentale è spesso rappresentato dalle pronunce rese dall’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria [1]. Molte sono le decisioni in materia. Per citare solo alcuni esempi più recenti, ci si può ben riferire alla comunicazione commerciale “Ansiolev e l’attacco non ti fa più paura“.
L’ingannevolezza non sfugge. Un simile messaggio è stato ritenuto idoneo ad accreditare al prodotto un’inverosimile efficacia in situazioni patologiche – attacchi d’ansia o di panico –, equiparando quindi i suoi effetti a quelli di un medicinale (pronuncia n. 12/2020 [1]). Inevitabilmente, simili stati esulano da quelli fisiologici riconducibili ad un integratore alimentare e la pubblicità non può essere consentita.
[1] L’Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria (“IAP”) si prefigge l’obiettivo – attraverso gli organi di cui è composto, il Comitato di Controllo e il Giurì – di assicurare una comunicazione onesta, veritiera e corretta a tutela del pubblico dei consumatori e delle imprese. Si tratta di un sistema di auto-regolamentazione dell’intero settore pubblicitario e che si impegna a rispettare le norme contenute nel Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale, vincolante per tutti coloro che lo abbiano accettato direttamente o tramite la propria associazione.
La pubblicità di Mavosten
Non è passato inosservato nemmeno il claim “Fastidi alla schiena o al collo? Spesso è una questione di nervi!” riferito al prodotto “Mavosten“. Anche in questo caso, la comunicazione è apparsa idonea ad indurre in errore i consumatori circa le caratteristiche e gli effetti del prodotto pubblicizzato.
Agli occhi del Comitato di Controllo, un simile messaggio era suscettibile di indurre nel pubblico l’erroneo convincimento che il solo utilizzo del prodotto consentisse di ottenere in modo semplice e veloce un risultato certo in relazione a disturbi di collo e schiena [2]. Il messaggio dell’Autorità è anche in questo caso evidente: mentre alle sostanze impiegate in un integratore alimentare possono essere attribuiti effetti di mantenimento di un normale funzionamento dei nervi, al contrario, le vitamine e i minerali impiegati non possono invece utilizzati per porre rimedio a condizioni patologiche.
Il caso Dolce-Respiro
Ma non c’è due senza tre. Anche durante l’attuale emergenza sanitaria non sono mancati i tentativi di attribuire proprietà terapeutiche agli integratori alimentari. Inevitabile è stata quindi la censura delle comunicazioni commerciali riferite ai prodotti “Tisanoreica” che riportavano il messaggio “in questo momento è fondamentale rinforzare le proprie difese immunitarie con Dolce Respiro…[p]otrai favorire il benessere delle prime vie respiratorie e stimolare le naturali difese dell’organismo” (Ingiunzione del 27 marzo 2020 nei confronti di Gianluca Mech S.p.A.). La comunicazione è stata inevitabilmente ritenuta inopportuna e scorretta a fronte il richiamo al COVID-19, che colpisce proprio le vie respiratorie [3].
In conclusione
È quindi molto complesso marcare la differenza tra una situazione patologica e una fisiologica e spesso è inevitabile cadere nel sottile – e talvolta impercepibile – confine tra integratore alimentare e farmaco, inducendo così nel consumatore l’erronea convinzione che il prodotto pubblicizzato possa avere proprietà diverse da quelle realmente proprie.
Nel pubblicizzare un integratore alimentare è fondamentale prestare particolare attenzione a non veicolare un messaggio commerciale che sia ingannevole, fuorviante o che possa indurre in errore circa le proprietà o utilizzo di un prodotto che, come illustrato, non è inteso a prevenire o curare malattie.
Mentre quindi è possibile affermare che certe sostanze contenute all’interno di un integratore alimentare possano mantenere e preservare un certo stato fisiologico e apportare un contributo a una condizione naturale, dall’altro lato, è essenziale omettere riferimenti a qualsiasi intervento del prodotto (o delle sostanze in esso contenute) su una situazione patologica, in grado di curare, di apportare rimedio o di intervenire su una condizione di salute ed avere un’efficacia verso una malattia.
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[1] Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, Pronuncia n. 17/2020.
[2] Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, Ingiunzione n. 26/2020
[3] Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, Ingiunzione n. 18/2020
Carlotta Busani
Dopo essersi laureata a pieni voti all’Università Bocconi ed aver conseguito magna cum laude un LL.M. in food law presso l’Università LUISS di Roma, Carlotta ha maturato una qualificata esperienza nel diritto alimentare europeo e degli Stati membri, assistendo le imprese alimentari nazionali ed internazionali per garantire che esse agiscano nel pieno rispetto della normativa applicabile.
Sarah Gabriele
Studentessa all’ultimo anno di giurisprudenza presso l’Università di Trento. Durante il suo percorso universitario ha conseguito un LL.M. in IP law presso la Washington University in St. Louis (USA). Attualmente sta svolgendo uno stage presso lo studio Hogan Lovells.