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Uno sguardo al mondo della sicurezza alimentare: qual è la situazione attuale?
L’anno appena trascorso passerà alla storia per il segno indelebile che avrà apportato alle nostre abitudini. Ognuno di noi può valutare personalmente quanto il proprio stile di vita sia cambiato, sotto ogni aspetto, compresi i nostri comportamenti nei confronti del cibo.
Un recente studio spagnolo [1] è andato ad analizzare l’impatto che ha avuto il primo lockdown causato dalla pandemia di Covid-19 sulle priorità alimentari, ed è emerso che, tra le parole immesse nei motori di ricerca online, il termine “restaurants” ha avuto un progressivo calo, a discapito di un incremento dei termini “recipes” e “delivery”.
È indubbio quanto l’essere costretti a stare in casa ci abbia dato il tempo per porre maggiore attenzione a quello che consumiamo e ha reso i consumatori sempre più attenti rispetto alla qualità e all’origine degli alimenti che portiamo in tavola. Il risparmio sul cibo non è contemplato dagli italiani, che si muovono in controtendenza sia rispetto al passato che rispetto agli altri Paesi Europei, come sottolinea il Rapporto Coop 2020 [2].
Il 34% degli italiani premia e tenderà a premiare i prodotti alimentari in grado di garantire igiene e prevenzione [3] e 1,7 milioni di italiani prevedono di acquistare alimenti naturali e/o sostenibili per la prima volta nel 2021 [2].
Le industrie alimentari devono sottostare ad una complessa rete di regolamenti e leggi che definiscono le modalità per ottenere un alimento sicuro, ovvero un alimento che non crea danni a chi lo ingerisce e che, contemporaneamente, mantiene inalterate le proprietà organolettiche e nutritive che lo contraddistinguono.
Il mondo legislativo del settore alimentare si basa sui Regolamenti europei, in particolar modo su quello che viene definito come “Pacchetto Igiene” [4], nato per garantire gli stessi standard igienico – produttivi lungo tutta la filiera alimentare all’interno di ogni singolo Stato membro.
L’approccio adottato è basato sull’analisi del rischio e prende spunto dal Codex Alimentarius, documento redatto dalla FAO e dalla OMS, adottato nel 1969, emanato nel 1999 e revisionato nel 1997, nel 2003 e, per ultimo, proprio nel 2020 [5].
I controlli attuati all’interno della filiera alimentare in Italia seguono uno schema piramidale, che vede al vertice l’EFSA (European Food Safety Authority), seguito a scalare dal Ministero della Salute e dal CNSA (Comitato Nazionale per la Sicurezza Alimentare), a cui fanno capo la Direzione Generale per l’Igiene e la Sicurezza degli alimenti e la nutrizione, l’UVAC (Uffici Veterinari per gli Adempimenti Comunitari), i PIF (Posti di Ispezione Frontaliera) e l’USMAF (Uffici di Sanità Marittima, Aerea e di Frontiera); infine, alla base della nostra ipotetica piramide, troviamo i NAS (Nuclei Antisofisticazione e Sanità), gli Assessorati alla Sanità e le Aziende Sanitarie Locali.
Il valore aggiunto degli standard volontari di qualità
Innanzitutto, è bene chiarire che esistono diverse tipologie di certificazioni di qualità a cui un’azienda alimentare può aderire:
- certificazioni di prodotto (es. DOP, IGP)
- certificazioni di sistema (es. ISO 9001)
- certificazioni di processo (es. BRC, IFS, FSSC 22000)
Gli Standard di qualità privati (BRC, IFS) nascono dall’esigenza della Distribuzione europea (GDO e DO) di proteggere, tutelare e valorizzare i prodotti alimentari recanti il proprio marchio, oltre a quella di ridurre i rischi legati alla sicurezza alimentare dei prodotti venduti.
I Regolamenti europei affidano la responsabilità della qualità igienico sanitaria del prodotto alimentare a ogni soggetto della filiera [6]; da ciò ne consegue che la GDO e la DO non possono declinare tale responsabilità soltanto perché non producono concretamente l’alimento commercializzato con il loro marchio.
Quanto detto porta a una forte pressione sul fornitore della GDO/DO. Il proprietario del marchio deve sapere se il suo fornitore sia in grado di fornire un prodotto sicuro dal punto di vista igienico e conforme alle proprie specifiche, oltre che alla normativa vigente.
Da questa esigenza nascono le Certificazioni di qualità, che con il tempo si sono declinate in varie sfaccettature. La benchmarking organisation che si occupa di valutare i programmi di certificazione per la sicurezza alimentare, e riconoscere quelli che soddisfano tuti i requisiti tabiliti dall’organizzazione stessa, è il GFSI (Global Food Safety Initiative).
Un’azienda alimentare può quindi ritrovarsi a intraprendere un iter di certificazione perché “obbligata” a livello commerciale dal proprio cliente. Pertanto, l’azienda deve innanzitutto creare un sistema qualità che risponda ai vari requisiti dello Standard di riferimento e successivamente farsi auditare tramite un processo sistematico, indipendente e documentato da un soggetto esterno rispetto sia all’azienda che a chi ha interessi nei riguardi della stessa, ovvero da un Ente di Certificazione.
L’Ente di Certificazione deve essere accreditato. L’accreditamento è il procedimento con il quale un ente riconosciuto attesta formalmente la competenza di organismi o persone a svolgere funzioni specifiche. Accredia è l’Ente Nazionale Italiano per l’accreditamento dei laboratori di prova e degli Organismi di certificazione e ispezione.
Le pubblicazioni e le relazioni annuali effettuate da Accredia [7], forniscono una veduta del mondo delle aziende certificate. Citando lo Studio realizzato da Osservatorio Accredia nel 2020 [8], “gli investimenti in questo campo (infrastruttura per la qualità nel settore alimentare, n.d.r.) assicurano una serie di benefici per le imprese che superano in misura sostanziale i costi sostenuti. Tali azioni hanno anche un ritorno per la collettività che si concretizza in una minore incidenza di malattie legate al cibo (foodborne diseases) e conseguentemente in minori costi sociali.”.
Il sistema descritto risulta indubbiamente complesso, ma nasconde notevoli e numerosi risvolti positivi che non sempre le aziende alimentari riescono a percepire.
I vantaggi dell’adozione di un Sistema Qualità
La decisione di un’azienda alimentare di intraprendere la strada per costruire un proprio Sistema Qualità non deve per forza scaturire da un’imposizione commerciale. Un’azienda lungimirante, che crede nella cultura della qualità, può arrivare ad implementare un proprio Sistema semplicemente perché “ci crede”.
Gli standard volontari affrontano e approfondiscono aspetti che la normativa cogente non analizza così nel dettaglio: si parla di food fraud, food defense e blockchain.
La food fraud viene definita come “deliberata ed intenzionale sostituzione, scorretta etichettatura, adulterazione o contraffazione degli alimenti, delle materie prime, ingredienti o materiali di confezionamento immessi sul mercato per ottenere vantaggi economici.” [9]. Food defense è il termine comunemente usato dalla US Food and Drug Administration (USDA) [10], Department of Homeland Security (DHS), per definire le attività connesse alla protezione delle derrate alimentari del proprio Paese da atti intenzionali di contaminazione o manomissione. Sarebbe sbagliato considerare la food defense come sinonimo di sicurezza alimentare. L’intento della sicurezza alimentare è identificare pericoli non intenzionali fisici, chimici e biologici, mentre la food defense ha l’obiettivo di identificare, mitigare e monitorare possibili sorgenti intenzionali di contaminazione del cibo.
Infine, la blockchain è una rete di dati che permette di unire, in modo semplice e intuitivo, informazioni riguardanti la tracciabilità della filiera, la sicurezza alimentare, la diminuzione del rischio legato alla frode e rendere il settore più trasparente agli occhi del consumatore.
Tutti questi ultimi aspetti trattati rappresentano soltanto la punta dell’iceberg: un Sistema Qualità è una rete tessuta ad arte per permettere all’azienda di essere più efficiente, a partire da un controllo puntuale delle proprie non conformità, fino ad arrivare all’acquisizione naturale di una maggiore capacità di adattamento alla crisi e ai cambiamenti.
Conclusioni
L’argomento trattato è ampio e ne viene fatta in questa sede una panoramica, che ha però uno scopo ben preciso, ovvero portare a riflettere sul seguente aspetto: se un Sistema di Qualità può portare alla mia azienda degli effettivi vantaggi, perché non applicarlo?
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[1]: Laguna, L., Fiszman, S., Puerta, P., Chaya, C., and Tárrega, A. (2020). The impact of COVID-19 lockdown on food priorities. Results from a preliminary study using social media and an online survey with Spanish consumers. Food Quality and Preference, 86, 104028.
[2]: Ufficio Studi Coop “Italia 2021 il Next Normal degli Italiani” Consumer Survey, Agosto 2020
[3]: Nomisma Osservatorio The World After Lockdown, Luglio 2020
[5]: Codex Alimentarius, General Principles of Food Hygiene (CXC 1-1969)
[6]: REGOLAMENTO (CE) N. 178/2002 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 28 gennaio2002 che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare
[7]: www.accredia.it
[8]: Quaderno Osservatorio Accredia “Accreditamento e certificazioni. Valore economico e benefici sociali.” 1/2020
[9]: Standard IFS: frode sui prodotti. Linee guida per l’implementazione. 2018
[10]: https://www.usda.gov/
Federica Tulisso
Consulente di igiene e sicurezza alimentare. Ha conseguito nel 2015 la laurea in Scienze e Tecnologie Alimentari e si è inserita nel settore delle certificazioni volontarie.
Svolge la sua attività di consulenza nei confronti di varie aziende del settore alimentare, coprendo i vari aspetti dell’intera filiera.
È co-fondatrice di un podcast che racconta le storie di chi il cibo lo fa, Quellochemangio.