Indice
Alimenti probiotici: cosa dicono le normative
Sempre più spesso la definizione di alimento probiotico viene erroneamente associata a quella di cibo fermentato, attribuendo a quest’ultima tipologia di alimento proprietà che non possiede.
Proprio a causa della grande confusione che a volte si genera intorno a questi temi, la ISAPP – International Scientific Association for Probiotics and Prebiotics, ha pubblicato all’inizio di quest’anno definizioni specifiche circa gli alimenti fermentati, che chiariscono le differenze rispetto a quelli probiotici [1].
Secondo la valutazione scientifica dell’EFSA sulle indicazioni salutistiche indicate dal Regolamento (CE) 1924/2006, un prodotto probiotico dovrebbe essere in grado di sostenere l’equilibrio della microflora intestinale, riducendo allo stesso tempo il numero di microrganismi potenzialmente patogeni, per poter avere un effetto benefico per la salute [2].
Inoltre, i probiotici (batteri o lieviti) utilizzati negli alimenti possiedono proprietà specifiche che devono essere comprovate sperimentalmente e con dati significativi. Prima fra tutte è sicuramente quella di essere considerati sicuri per l’uomo, rispondendo a tutti i requisiti riportati sullo status di “Presunzione Qualificata di Sicurezza” (QPS) e, in ogni caso, non essere portatori di antibiotico-resistenza, né acquisita né trasmissibile.
Molto importante, al fine di poter registrare un’effettiva influenza positiva a livello dell’equilibrio intestinale, è decisamente la capacità di questi microrganismi di resistere allo stress della digestione, arrivando all’intestino vivi e vitali, cioè capaci di moltiplicarsi e di colonizzarlo.
La colonizzazione del distretto intestinale da parte dei probiotici è un aspetto molto importante per assicurarne la persistenza nell’ambiente e quindi un’efficace attività.
Per questo motivo è indispensabile che i probiotici siano presenti negli alimenti in numero sufficientemente elevato e molti autori suggeriscono come l’assunzione giornaliera di un numero di cellule vive tra 10^7 e 10^9, a seconda del microrganismo e dello specifico ceppo, sia una quantità sufficiente per avviare una colonizzazione diretta a livello intestinale e modulare del microbiota [3].
Ceppi probiotici brevettati: identificazione e loro uso nell’industria alimentare
La classificazione dei microrganismi si basa su una gerarchia tassonomica che li colloca in categorie via via più specifiche che, partendo dal regno, e passando per phylum, classe, ordine e famiglia, arriva al genere.
A ciascun genere appartengono più specie che raggruppano in sé ceppi batterici con un’elevata somiglianza. Con più esattezza, i ceppi che appartengono alla stessa specie devono possedere una origine evolutiva comune che è data da un’omologia di sequenza dei loro geni 16S rDNA, uguale o superiore al 97% [13].
La caratterizzazione della specie e l’identificazione del ceppo probiotico, sono due step imprescindibili per garantire la sicurezza di un microrganismo probiotico e per il suo eventuale brevetto.
Alcuni ceppi probiotici vantano una lunga tradizione nell’integrazione della microflora umana ma, se si considera il grande numero di batteri tuttora sconosciuti sulla terra, non stupisce che continuamente la ricerca si muova verso l’identificazione di nuovi microrganismi potenzialmente probiotici da tante matrici diverse (alimentari e non).
Ogni volta è necessario passare da un primo livello di identificazione che riguarda la specie e sfrutta regioni geniche conservate specie-specifiche come il 16s RNA [4].
Successivamente, si passa all’identificazione del ceppo, possibile con metodi molecolari.
Il Ministero della Salute riconosce tra questi metodi l’analisi del DNA polimorfico amplificato casualmente (RAPD) [5], l’analisi del polimorfismo del DNA microsatellite, l’analisi della sequenza del genoma (assemblata e validata) o altre tecniche molecolari di tipizzazione genetica che siano accettate a livello internazionale.
Tra i probiotici commercializzati da Chr. Hansen, L. CASEI 431®, LGG® e BB-12® sono tra i più descritti dalla bibliografia scientifica con più di 1000 lavori per LGG®, 370 pubblicazioni per BB-12® e 90 per L. CASEI 431®.
Inoltre, diversi studi clinici sull’uomo ne hanno anche confermato la capacità di ripristinare e mantenere l’equilibrio naturale dei batteri buoni nell’intestino [6, 7, 8].
Tra le formulazioni alimentari probiotiche in cui questi ceppi possono essere impiegati c’è sicuramente il latte fermentato.
È uno dei sistemi alimentari che meglio supporta la vitalità dei microrganismi dal momento che il suo processo produttivo non coinvolge trattamenti termici o eccessive condizioni di stress per le cellule microbiche, mentre la sua ampia diffusione sul mercato è sicuramente legata alla praticità di consumo e ad una buona durata della shelf-life.
La messa a punto di un alimento probiotico e fermentato non è semplice e comporta una conoscenza approfondita della matrice alimentare, come anche dei meccanismi di reazione che si avviano durante il processo produttivo di trasformazione.
Ad esempio, in alcuni casi, per migliorare le caratteristiche organolettiche, nella formulazione dei latti fermentati probiotici potrebbe essere necessario anche l’utilizzo di fermenti lattici selezionati per le loro ottime capacità di acidificazione, di cui non tutti i fermenti probiotici sono dotati, e che come è noto influenza il network proteico a cui è connessa anche la texture dell’alimento [9].
Il kefir, da bevanda fermentata a bevanda fermentata probiotica?
Quando parliamo di alimento fermentato, parliamo di un alimento ottenuto “attraverso la crescita di microrganismi desiderati (voluti) e trasformato mediante gli enzimi” [1].
Il kefir è una delle più antiche bevande fermentate a base di latte la cui fermentazione tradizionalmente prevedeva, un po’ come il kombucha, l’utilizzo di lieviti e di batteri lattici.
Come precedentemente spiegato, nonostante la possibile presenza nei grani di kefir di alcuni ceppi probiotici, il kefir non può essere definito una bevanda probiotica, perché la probioticità di un alimento dipende non solo dalla presenza di probiotici ma anche dalla loro quantità: serve un’elevata presenza di questi microrganismi per garantire l’arrivo di un alto numero di cellule a livello intestinale.
Tuttavia, proprio per abbracciare le esigenze diverse dei consumatori e specifiche richieste produttive, Chr. Hansen propone la possibilità di realizzare versioni di kefir più “innovative”, suggerendo ricette che prevedano l’impiego di BB-12®, sostenendo e migliorando la capacità del prodotto di avere benefici per la salute [7].
Si può così rispondere all’esigenza di quei consumatori che richiedono sempre più spesso prodotti alimentari con un valore aggiunto che siano al tempo stesso buoni e con accertati benefici per la salute.
Le tendenze di mercato lo confermano: il ricorso a cibi funzionali e salutistici che siano buoni e gustosi, e contemporaneamente contribuiscono alla salute del microbiota intestinale, è in crescita.
Nel 2020, infatti, le vendite di yogurt funzionali a difesa del sistema immunitario sono infatti aumentate del 4,1% con punte sopra la media per il kefir, che sembra essere un prodotto molto apprezzato dagli italiani [11]
Prendersi cura del proprio microbiota: le buone abitudini fanno la differenza
Per poter far sì che i probiotici possano davvero prendersi cura dello stato di salute del microbiota, la loro assunzione non deve essere sporadica ma abitudinale.
Tra gli effetti che i probiotici possono avere, da soli o in combinazione con altri probiotici o ingredienti prebiotici, c’è la modulazione della composizione del microbiota a sfavore dei patogeni e a favore dei batteri benefici [10].
Questo favorisce la riduzione nella frequenza di alcuni disturbi gastrointestinali, e di conseguenza dell’infiammazione, connessi ad uno stato di disordine del microbiota chiamato generalmente “disbiosi”.
La capacità dei probiotici di favorire l’equilibrio della flora batterica intestinale è legata alle loro proprietà di adesione alla mucosa intestinale che ne permette la colonizzazione.
Ed ancora, dopo lunghi trattamenti antibiotici, che indeboliscono il microbiota intestinale riducendo l’abbondanza di microrganismi benefici come i bifidi, l’assunzione di probiotici come BB-12® aiutano una più rapida ripresa dello stato fisiologico della flora intestinale [13].
Conclusioni
Sulla terra ci sono più batteri che granelli di sabbia e si è ancora ben lontani dalla loro totale identificazione, non c’è dubbio però che i batteri, e i microrganismi in generale, siano i protagonisti di tanti processi, da quelli che avvengono normalmente in natura, a quelli che si svolgono nel corpo umano.
L’impegno di Chr. Hansen nella caratterizzazione di batteri buoni da impiegare nelle formulazioni alimentari, da quelle tradizionali a quelle più innovative, porta a generare continuamente l’opportunità di creare nuovi cibi funzionali con specifiche caratteristiche richieste dal mercato.
—
Speriamo che tu abbia trovato la lettura di questo articolo sulle potenzialità dei probiotici interessante. Per altri contenuti simili, consulta la sezione Blog del nostro sito web. E se vuoi restare sempre al passo con le ultime novità in fatto di Agrifood, iscriviti alla nostra Newsletter!
Chr. Hansen
Il crescente interesse da parte dei consumatori verso alimenti funzionali probiotici, fa sì che l’impegno di Chr. Hansen nel fornire microrganismi adatti a preservare la salute globale, tramite l'utilizzo delle più moderne tecnologie sia ogni giorno più importante.
Infatti, al centro della strategia aziendale per il 2025 c’è proprio l'obiettivo di guidare un cambiamento che sia sostenibile e naturale:
“Grow a better world. Naturally”.
[1] Marco, Maria L., et al. “The International Scientific Association for Probiotics and Prebiotics (ISAPP) consensus statement on fermented foods.” Nature Reviews Gastroenterology & Hepatology (2021): 1-13.
[2] EFSA Panel on Dietetic Products, Nutrition and Allergies (NDA). “Scientific Opinion on the substantiation of health claims related to non characterised bacteria and yeasts pursuant to Article 13 (1) of Regulation (EC) No 1924/2006.” EFSA Journal 8.2 (2010): 1470.
[3] Saxelin, Maija. “Lactobacillus GG—a human probiotic strain with thorough clinical documentation.” Food Reviews International 13.2 (1997): 293-313.
[4] Menconi, Anita, et al. “Identification and characterization of lactic acid bacteria in a commercial probiotic culture.” Bioscience of Microbiota, Food and Health 33.1 (2014): 25-30.
[5] Roy, Denis, et al. “Molecular identification of potentially probiotic lactobacilli.” Current microbiology 40.1 (2000): 40-46.
[6] The Science behind Lactobacillus rhamnosus, LGG®. Editor Ulla Holmboe Gondolf, PhD Scientific Advisor
Human Health. Published by Human Health Chr. Hansen A/S Bøge Allé 10-12 DK-2970 Hørsholm Denmark.
[7] The Science behind Bifidobacterium, BB-12®. Editor Mikkel Jungersen MSc, Scientific Advisor, HHN-Scientific Marketing. Published by Department of Scientific Marketing Human Health & Nutrition Chr. Hansen A/S Bøge Allé 10-12 DK-2970 Hørsholm Denmark.
[8] The Science behind Lactobacillus, L. CASEI 431®. Editor Mikkel Jungersen MSc, Scientific Advisor, HHN-Scientific Marketing. Published by Scientific Marketing Human Health & Nutrition Chr. Hansen A/S Bøge Allé 10-12 DK-2970 Hørsholm Denmark
[9] Sodini, I., et al. “Effect of milk base and starter culture on acidification, texture, and probiotic cell counts in fermented milk processing.” Journal of Dairy Science 85.10 (2002): 2479-2488.
[10] Singh, Varun Pratap, et al. “Role of probiotics in health and disease: a review.” J Pak Med Assoc 63.2 (2013): 253-257.
[11]https://www.ansa.it/canale_terraegusto/notizie/cibo_e_salute/2020/12/01
[12] Soltis, Douglas E., and Pamela S. Soltis. “The role of phylogenetics in comparative genetics.” Plant Physiology 132.4 (2003): 1790-1800.
[13] Chatterjee, Suparna, et al. “Randomised placebo-controlled double blind multicentric trial on efficacy and safety of Lactobacillus acidophilus LA-5 and Bifidobacterium BB-12 for prevention of
antibiotic-associated diarrhoea.” The Journal of the Association of Physicians of India 61.10 (2013): 708-712.
Ringraziamenti
Redazione articolo a cura di Annalisa Porrelli – Food Hub