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Proteine ATI del grano
Il grano è un alimento base in molte parti del mondo e contribuisce per circa il 20% delle calorie e proteine totali della dieta [1].
Inoltre è considerato il “gold standard” nell’industria cerealicola per la sua versatilità nell’essere trasformato in un’ampia gamma di prodotti alimentari.
Tuttavia, negli ultimi anni si è assistito a un preoccupante aumento delle sensibilità alimentari al grano in soggetti predisposti.
Oltre al glutine, altri componenti sono stati correlati all’insorgenza di tali reazioni.
Gli inibitori delle alfa-amilasi/tripsina (ATI) del grano sono una famiglia di proteine compatte, molto resistenti alla proteolisi nell’intestino umano e costituiscono circa il 2-4% delle proteine totali del grano [2].
Le ATI si accumulano nell’endosperma della cariosside dove ricoprono un importante ruolo di difesa contro insetti infestanti; inibendo le amilasi e le tripsine, le ATI impediscono ai patogeni di digerire l’amido e le proteine del grano [3].
Le ATI svolgono anche la funzione di proteine di riserva [4].
Il ruolo delle ATI nella nutrizione umana
Riguardo l’impatto sulla salute umana, le ATI sono note da anni per essere coinvolte in varie patologie quali la dermatite dei fornai, l’asma e le allergie alimentari [5].
Più recentemente, le ATI hanno acquisito un rinnovato interesse per il loro coinvolgimento nell’insorgenza della celiachia e della sensibilità al grano non celiaca [6].
Capaci di attivare una classe di recettori deputati al riconoscimento dei patogeni (complesso del recettore toll-like 4, TLR4), le ATI, ma non il glutine, sono state identificate come principale innesco nel grano dell’immunità innata [7].
Per il fatto che oltre al glutine, nel grano sono presenti altri componenti quali le ATI in grado di scatenare queste reazioni infiammatorie, anziché di sensibilità al “glutine” non celiaca, si preferisce ora parlare più in generale di sensibilità al “grano” non celiaca.
Le ATI hanno anche un effetto indiretto nell’organismo sopprimendo l’attività degli enzimi digestivi [8].
L’inibizione delle alfa-amilasi porta all’accumulo di sostanze amidacee non digerite che vengono fermentate dalla microflora intestinale con conseguenti sintomi quali flatulenza e gonfiore [9].
Inoltre, un’elevata inibizione delle tripsine può avere effetti negativi sulla digestione: l’incompleta degradazione delle proteine ne limita l’assorbimento e ne diminuisce il potenziale nutritivo.
Per queste ragioni gli inibitori delle tripsine (e delle proteasi in generale) vengono considerati “composti anti-nutrizionali” [10].
Differenze esistenti tra tipi di grano
Il grano o frumento (Triticum spp.) è un genere della famiglia delle graminacee a cui fanno parte diverse specie (Fig. 1).
Le più comuni sono il grano tenero (utilizzato per i prodotti da forno) e il grano duro (trasformato in semola per la produzione della pasta).
Poi c’è il farro che si divide a sua volta in tre tipi: il farro monococco (o farro piccolo, è il primo cereale a essere stato coltivato 10.000 anni fa), il farro dicocco (o farro propriamente detto) e il farro spelta (o farro grande).
Infine, in seguito alla riscoperta dei grani antichi, quelle varietà coltivate da millenni e che non hanno subito le moderne selezioni genetiche, si è assistito a un’ampia diffusione nel mercato del grano khorasan, apprezzato per le sue qualità nutrizionali e organolettiche.
Pochi studi hanno confrontato le attività delle ATI in diversi tipi di grano, ma tutti concordano sul fatto che esistano differenze significative tra le varie specie.
Esempi di studi sulle ATI di diversi tipi di grano
Uno studio ha analizzato il potenziale infiammatorio in vitro delle ATI.
I risultati mostrano che le ATI delle varietà moderne di grano tenero erano in grado di stimolare maggiormente il rilascio di molecole infiammatorie (citochine) in colture cellulari rispetto alle ATI di farro e grano khorasan [7].
Un altro studio ha valutato le attività enzimatiche in vitro di inibizione delle amilasi e delle tripsine [11].
Considerando una selezione di 10 differenti genotipi di grano, non è stato possibile differenziare i grani antichi dai moderni in base ai rispettivi livelli di attività delle ATI.
Inoltre, i grani teneri mostrano in media attività inibitorie maggiori rispetto al grano duro e al farro dicocco.
Il farro monococco presenta un comportamento peculiare, con attività di inibizione delle amilasi vicina allo zero, ma con la più elevata attività di inibizione della tripsina.
Questi risultati sono stati confermati anche in altri studi [8,12].
Infine, i genotipi con attività ATI mediamente più basse, che quindi potrebbero essere meglio tollerati da chi soffre di sensibilità al grano, sono stati il grano khorasan e una varietà moderna di grano duro Alzada.
È interessante notare che già un precedente studio evidenziava come il consumo di prodotti a base di grano khorasan migliorasse i sintomi della sindrome del colon irritabile, un diffuso disturbo innescato anche dall’attività dalle ATI [13].
L’effetto delle ATI sull’organismo dipende anche da come queste proteine vengono processate dagli enzimi digestivi.
In uno studio in vitro gli enzimi gastrointestinali sono stati in grado di digerire completamente le ATI estratte da due varietà di farro monococco e quindi di eliminarne il potenziale infiammatorio, ma non sono invece riuscite a digerire le ATI di varietà moderne di grano tenero [14]. (Fig. 2)
Impatto del food processing sull’attività finale delle ATI
Ad esempio, considerando la lievitazione utilizzando pasta madre, con pH dell’impasto inferiore a 4, le ATI venivano degradate in seguito ad attivazione delle proteasi aspartiche del grano [15].
Questo non veniva osservato a seguito di fermentazione con lievito di birra.
Inoltre, le ATI estratte da impasto fermentato con diversi ceppi di Lattobacilli presentavano un potenziale infiammatorio in vitro più basso rispetto a un impasto non fermentato. (Fig. 3)
Risultati simili sono emersi in uno studio in vivo in cui la degradazione delle ATI per opera dei Lattobacilli riduceva il loro effetto infiammatorio in topi alimentati con una dieta contenente ATI e glutine [16].
Anche l’applicazione di temperature elevate durante i processi di trasformazione ha un impatto importante sulle attività delle ATI, probabilmente per effetto della denaturazione termica delle proteine.
Ad esempio, non erano state rilevate attività di inibizione delle alfa-amilasi in pane non lievitato e cotto a 215 °C per 34 minuti e in pasta dopo cottura in acqua bollente [17].
Anche l’aumento della temperatura da 40 a 80°C durante l’essiccazione della pasta era stato in grado di diminuire notevolmente le attività di inibizione delle alfa-amilasi.
Le ATI sono principalmente localizzate nell’endosperma amidaceo della cariosside e, pertanto, la farina bianca ne è più ricca rispetto alla farina integrale.
Questo spiegherebbe come mai non è stata rilevata attività di inibizione delle tripsine nella crusca [18] e in campioni di farina e pane integrali [10].
Pertanto, anche i processi di molitura e frazionamento del grano possono essere un’utile strategia per ridurre i livelli di ATI.
Conclusioni
Il grano è alla base dell’alimentazione di molti, ma non tutti possono consumarlo perché sensibili.
Escludendo i celiaci tenuti ad una dieta gluten-free, non si dovrebbe rinunciare ai preziosi nutrienti del grano.
È pertanto auspicabile utilizzare varietà meno infiammatorie e/o processi che riducano componenti negative sulla salute.
Speriamo che tu abbia trovato la lettura di questo articolo sulle proteine ATI nella sensibilità al “grano” non celiaca interessante. Per altri contenuti simili, consulta la sezione Ricerca e Sviluppo del nostro sito web. E se vuoi restare sempre al passo con le ultime novità in fatto di Agrifood, iscriviti alla nostra Newsletter!
[1] Shiferaw, B., Smale, M., Braun, H.-. J. et al. (2013). Crops that feed the world 10. Past successes and future challenges to the role played by wheat in global food security. Food Security, 5(3), 291–317. 10.1007/s12571-013-0263-y.
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[18] Chang, C. R., & Tsen, C. C. (1979). Note on trypsin inhibitor activity in the acetate extract of cereal samples. Cereal Chemistry, 56, 493–494.
Emanuela Simonetti
Direttore Scientifico di un noto brand alimentare. Ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Scienze e Tecnologie Agrarie, Ambientali e Alimentari presso l’Università di Bologna con cui tuttora collabora. Si occupa da anni di studi sulle proprietà nutrizionali e funzionali del grano e dell’implementazione di sistemi innovativi di tracciabilità del prodotto agroalimentare.