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Batteri lattici: un’introduzione
I batteri lattici (LAB, Lactic Acid Bacteria) sono un gruppo di microrganismi di grande importanza industriale, utilizzati su scala globale per una vasta gamma di fermentazioni alimentari, come quelle del lattiero-caseario, dei prodotti da forno, delle verdure fermentate e per alcuni biochimismi secondari nelle bevande alcoliche. I LAB sono anche parte del microbiota gastrointestinale umano e diversi ceppi sono considerati benefici per l’ospite e sono stati selezionati per applicazioni probiotiche [1].
L’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) ha recentemente introdotto un sistema di valutazione della sicurezza pre-mercato per specifici gruppi tassonomici di microrganismi, portando a una “Presunzione Qualificata di Sicurezza” (QPS), un equivalente europeo dello stato di Generalmente Riconosciuto come Sicuro (GRAS) impiegato dalla Food and Administration statunitense (FDA) [2]. Diverse specie di LAB associate agli alimenti hanno ottenuto lo status QPS (EFSA 2007). L’adattabilità dei LAB ai processi di fermentazione, la versatilità metabolica, il potenziale nella stress response e nei fenomeni di antagonismo rispetto ad altri microrganismi sono alcune delle principali caratteristiche che facilitano la loro applicazione negli alimenti per migliorare la sicurezza e la qualità dei prodotti.
Sebbene i LAB includano più di 60 generi, quelli più frequentemente utilizzati nella fermentazione alimentare sono generalmente Lactobacillus, Lactococcus, Leuconostoc, Pediococcus, Streptococcus, Enterococcus e Weissella [3]. Il genere più grande e diversificato dei LAB è Lactobacillus, proposto nel 1901 da Beijerinck, che comprendeva 261 specie fino a marzo 2020 [4]. Recentemente, il genere è stato riclassificato in 25 generi, tra cui Lactobacillus, Paralactobacillus e 23 nuovi generi che includono specie precedentemente classificate, appunto, come Lactobacillus (Fig. 1). Tra questi, Lactiplantibacillus plantarum (L. plantarum) si distingue come specie modello per studi metabolici, ecologici e genetici rispetto alla categoria eterogenea dei lattobacilli ed è stato descritto, in ragione della distribuzione ecologica, come una specie batterica a life style nomade. Si adatta, infatti, a diverse nicchie ambientali senza particolari specializzazioni (diversamente da altri batteri lattici), raccogliendo l’interesse di ricercatori e offrendo molteplici applicazioni nel settore alimentare e biotecnologico.
Caratteristiche di L. plantarum
L. plantarum, come detto, è un LAB estremamente versatile isolato da una varietà di habitat, come piante, tratto gastrointestinale di esseri umani e animali, inclusi mammiferi, uccelli e insetti, così come da diversi prodotti alimentari crudi e/o fermentati, come carne, pesce, verdure e prodotti lattiero-caseari [5, 6]. L. plantarum è un etero-fermentante facoltativo ossia può utilizzare sia carboidrati esosi (zuccheri a sei atomi di carbonio, come il glucosio) che pentosi (zuccheri a cinque atomi di carbonio, come l’arabinosio) per la fermentazione ed è impiegato come bio-risorsa in diverse industrie. L. plantarum mostra particolari attitudini protecnologiche come la fermentazione di materie prime vegetali [7] e alcuni ceppi, commensali umani, sono caratterizzati e commercializzati come probiotici con benefici dimostrati per la salute umana e animale [6,8–13].
Studi fenotipici e genotipici hanno permesso di differenziare L. plantarum a livello inter- e intra-specie, esplorando la relazione tra genoma, adattamento e fitness rispetto a specifiche nicchie ecologiche [5–10]. L’adattamento del batterio a nuovi habitat è spesso associato a cambiamenti nel genoma e nella regolazione trascrizionale [6,8,12,13].
Adattabilità ed evoluzione di L. plantarum e altri batteri lattici
Anche altri batteri lattici, come Lactobacillus reuteri associati al tratto intestinale di vertebrati, si adattano all’ospite attraverso una specializzazione genomica, ottimizzando le loro prestazioni ecologiche [8,14–21]. Altre specie, come Lactobacillus paracasei e Lactobacillus delbrueckii, si adattano agli ambienti lattiero-caseari attraverso la genome decay [11,22,23]. Tale dinamica evolutiva implica che un microorganismo riduce la dimensione del suo genoma attraverso la perdita di geni non essenziali o la riduzione della complessità genomica. Questo fenomeno può verificarsi in risposta a cambiamenti ambientali o pressioni selettive che favoriscono una maggiore efficienza metabolica o una specializzazione del microorganismo per un particolare ambiente o stile di vita.
Se un microorganismo colonizza un ambiente, può perdere geni che non sono più necessari per sopravvivere in quel particolare ambiente. Questo processo consente di risparmiare energia e risorse. Microorganismi che formano simbiosi stabili con un ospite possono perdere geni che codificano funzioni metaboliche non più necessarie, poiché possono dipendere dall’ospite per tali funzioni. In contesti di infezione, alcuni batteri possono ridurre la loro dimensione genomica per minimizzare l’interazione con il sistema immunitario dell’ospite, rendendoli più difficili da riconoscere o eliminare. La genome decay non va intesa come deterioramento o una perdita di funzionalità, ma piuttosto come un adattamento evolutivo che consente al microorganismo di colonizzare in maniera più efficiente un ambiente specifico [9,24–26].
Tuttavia, questo fenomeno può accompagnarsi ad una maggior dipendenza dall’ambiente specifico in cui si è specializzato, limitando la sua capacità di sopravvivere in ambienti diversi o di fronteggiare nuove sfide evolutive. L. plantarum non segue questa tendenza e dalla sua storia evolutiva emerge la mancata correlazione agli habitat di isolamento, suggerendo l’acquisizione e il mantenimento delle capacità funzionali indipendentemente dall’ambiente. Questo lo rende un tipico esempio di specie batterica nomade, altamente diversificata e versatile.
Studio sulla diversità intra-specifica di L. plantarum
Uno studio approfondito sulla diversità intra-specifica di L. plantarum è stato realizzato da Martino et al. [27] per ottenere maggiori informazioni sulle capacità funzionali e sulle differenze dei ceppi di L. plantarum, sequenziando i genomi di 43 nuovi ceppi di L. plantarum isolati da una varietà di ambienti alimentari e da ospiti animali (esseri umani e Drosophila melanogaster, nello specifico) (Fig. 2). Successivamente, i ricercatori coinvolti in questo studio hanno confrontato questi 43 genomi con i genomi esistenti di 11 ceppi di L. plantarum disponibili pubblicamente al momento della realizzazione dello studio (sei genomi completi e cinque draft genomes).
Definito che il core genoma rappresenta il gruppo di geni presenti in tutti i ceppi isolati di una specie, che include i geni essenziali per funzioni vitali come la replicazione del DNA e il metabolismo, mentre il pan-genoma, invece, include tutti i geni presenti negli organismi sequenziati all’interno della specie, comprendendo, quindi, il core genoma che i geni accessori, responsabili di caratteristiche variabili come virulenza, resistenza agli antibiotici e adattamento ambientale.
Questo studio rappresenta la prima analisi pan-genomica completa basata sui ceppi di L. plantarum isolati da diverse fonti, mirata a comprendere la loro evoluzione e individuare genomic signatures associate ad adattamenti ambientali specifici.
Il primo step è stato valutare l’assenza/presenza di geni nel core-genome che ha permesso di dividere i ceppi in due gruppi, nei quali si distribuivano quelli di provenienza umana e vegetale:
- isolati da prodotti lattiero-caseari;
- isolati da prodotti a base di carne e Drosophila melanogaster.
Risultati e implicazioni dell’analisi genomica
È emerso che i ceppi isolati dallo stesso habitat non erano necessariamente correlati tra loro. Le principali differenze riguardavano i geni coinvolti nel metabolismo degli zuccheri e la biosintesi degli esopolisaccaridi (EPS), seguiti dal metabolismo degli aminoacidi e dalla biosintesi della parete cellulare. Poiché il contenuto genetico non poteva spiegare un legame con l’origine della specie, è stato valutato l’accumulo di variazioni specifiche nei geni conservati. Dall’analisi filogenetica la distribuzione dei ceppi isolati dalla stessa fonte era del tutto casuale e alcuni ceppi con porzioni del core genoma in comune condividevano la stessa origine geografica. Successivamente, è stato investigato il proteoma per divergenze funzionali, ossia la modifica di geni esistenti per l’origine di nuovi prodotti. Anche in questo caso, l’analisi non è riuscita a identificare “genomic signatures” connesse all’adattamento ambientale.
Un’ulteriore analisi ha raggruppato le regioni del genoma più variabili, considerando la presenza/assenza di geni nelle categorie EPS, metabolismo degli zuccheri e secretoma (con complessi variabili connessi alla superficie cellulare, trasportatori ABC e batteriocine tra le sottocategorie più variabili). Per quanto riguarda il metabolismo degli zuccheri, è stato riportato che L. plantarum possiede un repertorio molto variabile di geni legati all’import e al catabolismo degli zuccheri, che sembra individuabile in una cosiddetta ‘isola genica’ connessa all’impiego di zuccheri. L’utilizzo di molti zuccheri diversi per le esigenze energetiche potrebbe spiegare perché è difficile individuare determinanti ambientali in questo gruppo funzionale; tuttavia, i risultati indicano una non chiara correlazione del metabolismo rispetto agli specifici ambienti di isolamento dei ceppi. Queste evidenze contrastano con l’ipotesi comunemente accettata per altre specie di lattobacilli [9,25]. È stato dimostrato, infatti, che ceppi appartenenti a L. reuteri seguono diverse tendenze di evoluzione genomica a seconda della loro fonte di isolamento (ad esempio, roditori o esseri umani) [9]. Come pure, alcune specie di lattobacilli isolate dal tratto vaginale umano, come Lactobacillus crispatus, Lactobacillus gasseri, Lactobacillus jensenii e Lactobacillus iners, possiedono genomi più piccoli rispetto alle specie non vaginali [23].
I lactobacilli a nomadic lifestyle, come L. plantarum, mantengono una flessibilità genomica che favorisce la crescita in vari ambienti, differenziandosi dai lactobacilli specializzati che mostrano un adattamento legato all’habitat. Questa caratteristica probabilmente deriva dalla flessibilità metabolica di questa specie batterica, che attenua la pressione selettiva imposta da un ambiente dinamico e consente a L. plantarum di sopravvivere in habitat ambientali variabili senza accumulare variazioni genetiche massive. Va ovviamente considerato che l’adattamento ambientale potrebbe basarsi su meccanismi regolatori alternativi come l’espressione genica e la stabilità delle proteine.
Conclusioni
La storia evolutiva di L. plantarum è complessa e non strettamente legata all’adattamento ambientale: la sua composizione genetica variabile e flessibile consente al batterio di mantenere un pool universale di geni per svilupparsi efficientemente in ambienti diversi. Sebbene generalmente si pensi che l’adattamento batterico a un habitat specifico comporti la presenza di cassette geniche specializzate, L. plantarum rappresenta un’eccezione.
Il nomadismo di L. plantarum gli ha permesso di migrare attraverso vari ambienti, evitando un adattamento genomico a lungo termine e specializzazione dell’habitat, ma acquisendo e mantenendo capacità funzionali adatte per uno stile di vita dinamico e flessibile. Questo ha positivamente influenzato la biodiversità alimentare attraverso la fermentazione e la sua capacità di adattarsi a vari ambienti e substrati. Il suo utilizzo nella produzione alimentare continua ad essere investigato per migliorare la qualità e la sicurezza degli alimenti fermentati e offrire benefici per la salute umana, supportando la flora intestinale e incrementando la diversità microbica nei prodotti alimentari. Per tutte queste ragioni, questa specie rappresenta un modello interessante per studi di biologia e di biotecnologie alimentari, anche attraverso approcci ‘omici’ e screening rapidi.
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Antonia Corvino
Antonia Corvino è al secondo anno di dottorato in "Agrifood and Environmental Sciences" presso l'Università di Trento e la Fondazione Edmund Mach a San Michele all'Adige (Trento). Il suo progetto, parte dell'iniziativa iNEST, mira a innovare il settore agroalimentare, con particolare attenzione ai prodotti fermentati, in collaborazione con il CNR-ISPA di Foggia.