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Definizione e normativa
Per iniziare questa esplorazione del mondo delle birre analcoliche bisognerebbe innanzitutto partire da una loro definizione chiara ed univoca. Purtroppo tale definizione non esiste, o meglio, esistono tante definizioni diverse a seconda del luogo nel quale si vuole commercializzare tale birra.
In Italia ad esempio, secondo la Legge 28 luglio 2016, n°154, “La denominazione «birra analcolica» è riservata al prodotto con grado Plato non inferiore a 3 e non superiore a 8 e con titolo alcolometrico volumico non superiore a 1,2%” [1]. Il grado Plato è un’unità di misura tipicamente utilizzata nel mondo brassicolo (in enologia si utilizza preferibilmente il grado Babo, mentre il grado Brix è più utilizzato in ambito alimentare, per confetture, succhi di frutta ecc), che indica la percentuale di zuccheri presenti nel mosto prima della fermentazione. Tale valore è direttamente correlato al grado alcolico finale della birra prodotta, essendo gli zuccheri alla base dell’attività fermentativa dei lieviti, il cui metabolismo in condizioni anaerobiche porta principalmente alla produzione di alcol etilico (o etanolo), anidride carbonica, ed esteri.
In Italia dunque, una birra può essere definita analcolica anche se in realtà contiene etanolo, purché in percentuale minore all’1,2% (percentuale volume/volume). Tale limite risulta invece più stringente a livello di legislazione europea e statunitense, con un limite fissato allo 0,5%, mentre ad esempio la legislazione svedese non individua nemmeno la categoria merceologica delle birre analcoliche, ma parla semplicemente di birre a basso contenuto alcolico (birre light), per valori inferiori al 2,5% [2,3].
Lo sviluppo di una birra analcolica
Una volta compreso cosa si intenda per birra analcolica, e quale sia la concentrazione alcolica massima che essa può presentare nel luogo di commercializzazione, bisogna individuare le strategie utilizzabili per eliminare l’etanolo.
Per capire su quali fasi si possa intervenire per ottenere lo scopo desiderato è necessario innanzitutto avere in mente il quadro generale del processo produttivo della birra (Fig. 1). Dopo il processo di maltazione del cereale d’interesse – orzo solitamente – si effettua la macinatura, e i grani macinati subiscono l’ammostamento, ossia vengono miscelati con acqua e scaldati, per attivare degli enzimi – α/β-amilasi – che riducono l’amido in zuccheri più semplici, attaccabili poi dai lieviti. A questo punto si filtra per trattenere il cereale esausto – le trebbie – e si procede alla bollitura per sterilizzare e concentrare il mosto; durante questa fase si procede anche alla luppolatura che, a seconda del tempo di bollitura del luppolo, avrà un effetto amaricante o aromatizzante. Si centrifuga per eliminare residui di luppolo ed eventuali proteine coagulate, e si raffredda. Ora il mosto viene trasferito nei fermentatori e, a seconda del tipo di birra (ad alta o a bassa fermentazione) che si vuole ottenere, si inoculeranno diverse specie di lieviti, che lavorano a temperature differenti per due settimane circa. Anche il periodo di maturazione che precede l’imbottigliamento cambia nei tempi e nelle temperature a seconda della birra che si sta producendo [4,5].
All’interno del processo produttivo appena descritto, per ottenere una birra analcolica si lavora principalmente con due macro categorie di metodi, che portano a (Fig. 2):
- interferire con il processo fermentativo durante il quale si sviluppa etanolo, tramite metodi biologici;
- eliminare l’etanolo una volta prodotta una birra standard, tramite metodi fisici [7,8].
Metodi fisici
I processi fisici consistono di fatto in processi di dealcolizzazione, cioè rimozione dell’etanolo da una birra tradizionale [9]. I metodi fisici si differenziano a loro volta in due gruppi:
- metodi termici. Sono stati tra i primi metodi utilizzati a questo scopo, con le prime prove risalenti agli anni ‘70, poiché l’etanolo è più volatile dell’acqua ed è dunque facilmente eliminabile scaldando la birra. Un’immissione eccessiva di calore nel sistema provoca però degradazione termica di alcune componenti, nonché la perdita di sostanze volatili, con un impatto pesante sul profilo aromatico finale della birra [9,10]. Oggi i metodi termici sono ancora utilizzati, ma sono eseguiti in condizioni di sottovuoto, per poter lavorare a temperature minori (circa 60°C) riducendo lo stress termico. Esistono diverse possibilità per elaborare questo processo: distillazione sottovuoto, distillazione in colonna conica rotante o processi di evaporazione e rettifica sottovuoto [11,12].
- metodi basati su membrane. Anche in questo caso ci sono diverse possibilità a livello sia di tecniche che di strumenti utilizzabili: dialisi, osmosi inversa, nanofiltrazione, distillazione a membrana, distillazione osmotica e pervaporazione. Ciò che accomuna i diversi metodi è il principio: si ricerca una dealcolizzazione utilizzando membrane semipermeabili all’etanolo [11]. Si tratta di metodi emergenti data la possibilità di condurli.
Metodi biologici
I metodi biologici puntano, tramite diversi processi, allo sviluppo di una birra che sia già di per sé a bassissimo contenuto alcolico. Per raggiungere questo scopo si può agire su due punti critici del processo produttivo della birra:
- ammostamento. In questa fase infatti le α-amilasi idrolizzano l’amido in zuccheri fermentabili e destrine, mentre le β-amilasi degradano ulteriormente le destrine in maltosio; l’obiettivo è interferire con l’azione di questi enzimi al fine di ottenere un mosto che abbia meno zuccheri fermentabili da parte del lievito. Difficilmente però questo metodo è sufficiente per ottenere una birra analcolica di buona qualità, spesso è dunque combinato con altri metodi fisici o biologici [9,11].
- fermentazione. In questo caso si cerca di agire invece direttamente sull’attività dei lieviti, con possibilità molteplici: si può ad esempio bloccare la fermentazione appena si raggiunge la gradazione alcolica massima consentita dalla legge, oppure effettuare la fermentazione a temperature più basse di quelle indicate per il lievito, facendolo lavorare in condizioni non ideali. Studi più recenti si sono invece concentrati sulla ricerca di nuovi ceppi di lieviti più adatti a produrre birre a bassissima gradazione alcolica, quali Trigonopsis cantarellii e Candida sojae, che hanno portato alla produzione di lager organoletticamente simili a quelle di riferimento. Inoltre, Schizosaccharomyces pombe (NRRL Y-12796), Lachancea fermentati (CBS 4506) e Pichia angusta (CBS 7073), secondo prove di laboratorio, sono emersi come in grado di fermentare glucosio, maltosio, saccarosio e raffinosio con limitata produzione di etanolo (e anche di composti volatili responsabili della complessità aromatica del prodotto finito) (Fig.3) [13].
Come abbiamo visto le possibilità sono molteplici, così come i tentativi di combinare insieme più metodi al fine di raggiungere un duplice obiettivo: ottenere un prodotto con bassi livelli di etanolo, ma che allo stesso tempo sia dotato di una complessità aromatica soddisfacente.
Trend e prospettive future
Nonostante la sfida tecnologica sia complessa, l’industria brassicola sta investendo in questa direzione perché la domanda di questo prodotto si sta facendo via via più insistente. A livello mondiale, il mercato italiano è poco rilevante, ma l’indagine 2024 di Assobirra evidenzia la situazione nostrana attuale: oggi l’80% dei consumatori di birra conferma di essere a conoscenza dell’esistenza del prodotto “birra analcolica”, e il 35% degli appartenenti a questo campione dichiara addirittura di berla più frequentemente rispetto alla birra tradizionale [14,15].
I motivi per cui si ricerca una bevanda con quantità nettamente minori di etanolo sono vari, in Italia e nel mondo:
- l’etanolo è una sostanza tossica in quanto, metabolizzato dall’enzima alcol deidrogenasi forma acetaldeide, classificata come sostanza cancerogena. Sebbene il nostro organismo possieda dei sistemi di protezione, con l’enzima acetaldeide deidrogenasi (ALD) deputato ad ossidare l’acetaldeide in acetato, oltre certe concentrazioni di etanolo l’acetaldeide non riesce ad essere smaltita in toto e finisce in circolo. L’etanolo risulta inoltre più tossico per le donne e per molte popolazioni orientali, che possiedono concentrazioni minori dei due enzimi sopracitati [16].
- motivazioni religiose, dato che l’intero mondo arabo non può bere bevande alcoliche, e già a livello vitivinicolo ci si sta muovendo in quella direzione, con il mercato dei vini dealcolati anch’esso in grande espansione in Medio Oriente;
- per potersi concedere un’alternativa analcolica (o quasi) in caso di guida;
- per evitare impatti sulla termoregolazione, data la vasodilatazione cutanea e l’aumento del flusso sanguigno che l’alcol comporta.
Il trend di crescita della domanda del prodotto pare dunque destinato a confermarsi, dato un mercato specifico che si sta creando, con in particolare la Generazione Z che risulta maggiormente sensibile a temi di dieta e salute rispetto a quelle precedenti.
Tutto ciò senza voler ovviamente demonizzare le bevande alcoliche che accompagnano la nostra cultura da millenni: come abbiamo visto in precedenza parlando della sfida tecnologica, infatti, ad oggi lo sviluppo di una birra analcolica comporta ancora una perdita non indifferente in termini di complessità aromatica dato il ruolo fondamentale del lievito e della fermentazione nell’intero processo. Non a caso uno dei detti più conosciuti nel mondo brassicolo recita: “Il mastro birraio fa il mosto, il lievito fa la birra”.
Conclusioni
La popolarità delle birre analcoliche è in crescita nel mondo occidentale e non, specialmente data la maggior attenzione verso stili di vita sani e consapevoli. La sfida per i mastri birrai che si lanciano alla conquista di questo mercato è oggi quella di testare le tecnologie più innovative, talvolta combinando metodi fisici e biologici, per ottenere un prodotto analcolico che non faccia storcere il naso anche ai palati più esigenti.
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[1] Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali. Legge 28 luglio 2016, n. 154, art. 35. 2016
[2] Montanari, L., Marconi, O., Mayer, H., & Fantozzi, P. (2008). Production of Alcohol-free Beer. Beer in Health and Disease Prevention, Elsevier (Vol. 1, pp. 61–75). 2008.
[3] Fermento Birra. Il successo della birra analcolica negli Stati Uniti. 2019. https://www.fermentobirra.com/il-successo-della-birra-analcolica-negli-stati-uniti/.
[4] Giaccone, L., Signoroni, E. Il piacere della birra. Slow Food. 2023
[5] Antonelli F., Ruggiero A. Fare la birra in casa. Guida completa per homebrewer del terzo millennio. Publigiovane Media Publishing. 2022.
[6] Easybrau-Velo. Impianti per birra artigianale, processo produttivo birra. 2020. https://www.easybrau-velo.com/2018/11/09/impianti-per-birra-artigianale-processo-produttivo-birra/
[7] Jackowski M.; Trusek A. Non-alcoholic beer production – an overview. Polish Journal of Chemical Technology. 2018. https://doi.org/10.2478/pjct-2018-0051
[8] De Francesco, G., Sannino, C., Sileoni, V., Marconi, O., Filippucci, S., Tasselli, G., Turchetti, B. (2018). Mrakia gelida in brewing process: An innovative production of low alcohol beer using a psychrophilic yeast strain. Food Microbiology. 2018. https://doi.org/10.1016/j.fm.2018.06.018
[9] Brányik, T., Silva, D.P., Baszczynski, M., Lehnert, R., e Silva, J.B.A., 2012. A review of methods of low
alcohol and alcohol-free beer production. Journal of Food Engineering. 2012. https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0260877411005140
[10] Mangindaan, D., Khoiruddin, K., Wenten, I.G., 2018. Beverage dealcoholization processes: past, present, and future. Trends in Food Science & Technology. 2018. https://doi.org/10.1016/j.tifs.2017.10.018
[11] Güzel N.; Güzel M.; Savaş Bahçeci K. Chapter 6 – Nonalcoholic Beer. Trends in Non-alcoholic Beverages. 2020. https://doi.org/10.1016/B978-0-12-816938-4.00006-9
[12] Andrés-Iglesias, C., García-Serna, J., Montero, O., Blanco, C. A. Simulation and flavor compound analysis of dealcoholized beer via one-step vacuum distillation. Food Research International. 2015. https://doi.org/10.1016/j.foodres.2015.07.017 v
[13] Krogerus K. , Eerikäinen R., Aisala H., Gibson B. Repurposing brewery contaminant yeast as production strains for low-alcohol beer fermentation. Yeast 2021. https://doi.org/10.1002/yea.3674
[14] Cappellini M. L’irresistibile ascesa della birra analcolica: ora piace a un bevitore su tre. Il Sole 24 ore. https://www.ilsole24ore.com/art/l-irresistibile-ascesa-birra-analcolica-ora-piace-un-bevitore-tre-AF7ZdZ3D?refresh_ce=1 2024
[15] Altroconsumo. Birra analcolica: l’alternativa con meno calorie rispetto alla birra tradizionale. https://www.altroconsumo.it/alimentazione/birra/speciali/birra-analcolica. 2023
[16] World Health Organization. Global status report on alcohol and health. 2018. https://www.who.int/publications/i/item/9789241565639
Federico Stilo
Consegue nel 2021 il titolo di Dottore di Ricerca in ambito Food Chemistry presso l’Università degli Studi di Torino, con un’attività di ricerca focalizzata sull’analisi dei composti volatili tramite GC-MS e GC×GC-MS. Dopo un’esperienza come analista nel Gruppo Tentamus, si è avvicinato al mondo brassicolo ed enologico, e attualmente ricopre un ruolo manageriale presso Biosano Italia, azienda operante nel settore vitivinicolo e agroalimentare. Svolge inoltre attività di consulenza e formazione in ambito scientifico e agroalimentare.