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L’importanza di garantire cibo sicuro e sostenibile
Il criterio di sostenibilità applicato al settore alimentare è diventato di pressante urgenza e richiede degli standard di qualità ancor più vincolanti che in altri settori.
Il famoso detto “siamo ciò che mangiamo” è molto più che uno slogan, è una rappresentazione efficace dell’impatto che il cibo ha sulle nostre vite e sulla nostra società.
L’aumento della popolazione globale, unita al crescente differenziarsi delle esigenze dei consumatori, rappresentano delle sfide complesse che vanno affrontate intervenendo al tempo stesso su diversi fronti.
Dalla qualità delle materie prime alla sicurezza del cibo che arriva sulle nostre tavole, i passaggi intermedi coinvolgono le responsabilità di innumerevoli soggetti, spesso dislocati in diversi paesi o continenti e quindi vincolati a normative e standard non necessariamente armonizzati tra di loro.
In che modo è possibile garantire un’efficace produzione alimentare che metta al primo posto la sicurezza e il benessere non solo dei consumatori finali, ma anche di coloro che lavorano nel settore? Tutto questo è possibile garantendo comunque la sostenibilità dell’intero processo sia a livello economico, che sociale e ambientale?
Nella corsa di aziende e organizzazioni per raggiungere obiettivi certi di sostenibilità, nell’industria alimentare – e non solo – la Dichiarazione di Londra ideata da British Standards Institution (BSI) , e firmata il 24 settembre da tutti i 163 enti nazionali di standardizzazione durante la ISO Week London 2021, sancisce una svolta fondamentale [1]
Si tratta di un impegno a garantire che tutti gli standard globali, d’ora in poi, promuovano un’azione contro il cambiamento climatico e facciano avanzare iniziative internazionali per raggiungere gli obiettivi globali di net-zero.
Un impegno in cui rientra anche la salvaguardia della qualità e sostenibilità dell’approvvigionamento alimentare.
Olio di palma: una produzione sostenibile?
A tal proposito, quella dell’olio di palma è un esempio di come la produzione di una risorsa chiave per l’economia di tante realtà locali, inizialmente sostenibile, sia diventata insostenibile – come tante altre produzioni – a causa di una forte pressione di approvvigionamento.
Questo ha favorito un importante impulso a reagire con norme e standard che ristabiliscano la sostenibilità delle produzioni agroalimentari [2].
Economico da produrre e di utilizzo versatile, l’olio di palma è indispensabile nell’ecosistema economico di tantissime aree del mondo, alcune di queste poco sviluppate.
Indonesia e Malesia producono rispettivamente il 58% e il 26% della fornitura globale di olio di palma e questo ha portato ad un sensibile incremento delle aree territoriali dedicate alla coltivazione delle palme da olio in entrambi i Paesi, mettendo a rischio la biodiversità forestale [3] [4].
Dal momento che l’olio di palma è un grasso vegetale presente come ingrediente in tantissimi alimenti (snack, creme spalmabili, lievitati confezionati, ecc.) ma viene anche impiegato in bioenergia, per applicazioni industriali e in prodotti di consumo come trucco, candele e detersivi, non meraviglia che sia diventato l’olio vegetale più consumato e commercializzato al mondo.
Come accade in molti casi con risorse convenienti e ampiamente utilizzate, l’uso di massa dell'olio di palma ha avuto un impatto dannoso sull’ambiente.
Secondo le previsioni della FAO entro il 2050 la domanda globale di olio di palma triplicherà, generando un’ulteriore espansione delle piantagioni a discapito di foreste pluviali e torbiere, con conseguenti perdite di habitat naturali e stock di carbonio forestali.
Per questo l’olio di palma è diventato uno dei simboli delle azioni collettive, da parte di consumatori e associazioni come il World Wildlife Fund (WWF), contro alimenti la cui produzione può rivelarsi dannosa per l’ambiente e per la salute [5].
Nuovi sistemi di gestioni alimentare per la protezione sociale e ambientale
Il fatto che non ci siano alternative altrettanto produttive e versatili all’olio di palma che, se usate nella stessa scala, non creino problemi simili in termini d’impatto ambientale e sulla salute dei consumatori, ha convinto molti dei soggetti coinvolti nella produzione, commercializzazione e utilizzo dell’olio di palma ad intraprendere un percorso più virtuoso della semplice ricerca di alternative.
A cominciare dalla Roundtable on Sustainable Palm Oil (RSPO). Questa iniziativa globale multi-stakeholder nata nel 2004 ha l’obiettivo di trasformare i mercati per rendere l’olio di palma sostenibile attraverso la cooperazione all’interno della catena di approvvigionamento.
Principi, criteri, indicatori e linee guida RSPO affrontano tutte le criticità rilevate nell’economia dell’olio di palma, dal comportamento etico al rispetto dei diritti di lavoratori e comunità autoctone, dall’ottimizzazione di produttività ed efficienza dei processi produttivi, al supporto e inclusione dei piccoli proprietari, per finire con la protezione e conservazione degli ecosistemi e dell’ambiente [6].
Dopo aver valutato l’impatto che l’esclusione dell’olio di palma dai propri prodotti e processi produttivi avrebbe avuto in termini di sostenibilità economica e sociale, molte aziende hanno ritenuto più sostenibile continuare ad utilizzarlo ma garantendone la sostenibilità. Come? Divenendo membri di RSPO e POIG (Palm Oil Innovation Group).
Si tratta di piattaforme per la sostenibilità dell’olio di palma che si occupano di responsabilità aziendale e quindi si impegnano a garantire la tracciabilità delle fonti dei fornitori, fino a frantoi e piantagioni, selezionando solo fornitori che seguono una politica anti-deforestazione [7].
Per affermare questo nuovo modello di business che soddisfa le attuali esigenze dei consumatori, senza distruggere le future esigenze connesse all’utilizzo delle risorse, è stato necessario un framework internazionale come RSPO a cui le imprese potessero conformarsi, superando la frammentazione di settore e armonizzando le best practice in diverse aree geografiche [7].
Conclusioni
BSI svolge un ruolo globale nel settore alimentare, come in tutti gli altri settori, attraverso la formazione, la certificazione e la verifica dei sistemi di gestione, al fine di garantire la conformità di imprese e organizzazioni a linee guida e regolamenti pubblici e privati.
Il risultato è la coerenza e la solidità di un quadro normativo terzo a cui adeguarsi e la possibilità di essere sostenuti nel raggiungimento di obiettivi produttivi ad impatto zero.
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- https://www.bsigroup.com/it-IT/Chi-siamo/Ente-nazionale-di-standardizzazione-del-Regno-Unito/Dichiarazione-di-Londra/
- Dauvergne, Peter. “The global politics of the business of “sustainable” palm oil.” Global Environmental Politics2 (2018): 34-52.
- Wicke, Birka, et al. “Exploring land use changes and the role of palm oil production in Indonesia and Malaysia.” Land use policy1 (2011): 193-206.
- Guillaume, Thomas, et al. “Carbon costs and benefits of Indonesian rainforest conversion to plantations.” Nature communications 9.1 (2018): 1-11.
- https://www.worldwildlife.org/press-releases/wwf-statement-on-the-2020-palm-oil-buyers-scorecard
- Previsioni FAO riportate nello studio RSPO “A shared vision”
- Yan, Wudan. “A makeover for the world’s most hated crop.” Nature News 543.7645 (2017): 306.
British Standards Institution
L’impegno del British Standards Institution (BSI) è da sempre quello di garantire cibo sicuro, sostenibile e socialmente responsabile. Grazie alla progettazione di una vasta gamma di certificazioni, standard e servizi per gestire i rischi per la sicurezza alimentare, BSI aiuta le organizzazioni ad avere supply chain alimentari resilienti, proteggendo al tempo stesso i brand e i consumatori.