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Il pane, alimento quotidiano, ma ad alto indice glicemico
Il pane ha una storia antichissima che si incrocia spesso con lo sviluppo della società.
Alimento semplice ottenuto dalla miscelazione di farina e acqua, da sempre ha rappresentato la base dell’alimentazione dei popoli occidentali.
Sono stati probabilmente gli Egizi a produrre per primi un pane lievitato così come lo conosciamo noi; ma da molto prima, circa 12.000 anni a.C., i nostri antenati erano soliti mangiare una sorta di piadina di farina e acqua, scaldata poi su una pietra rovente.
Ancora oggi in gran parte dell’Europa, il pane viene consumato quotidianamente, come prima fonte di energia, data la sua bontà, versatilità e prezzo [1,2].
Tuttavia, a causa della sua struttura porosa e dell’amido contenuto, completamente gelatinizzato, ha un alto indice glicemico (IG), dovuto alla rapida digestione e assorbimento dell’amido nel tratto digestivo [3].
È stato dimostrato che una dieta ricca di alimenti ad alto indice glicemico porta a un’elevata glicemia postprandiale, che è un fattore di rischio per lo sviluppo di malattie croniche, come il diabete di tipo 2 [4].
Nel 2021, in tutto il mondo, è stato registrato un numero di persone che soffrono di diabete pari a 422 milioni e questo numero è in continua e inesorabile crescita.
La diffusione del diabete negli ultimi decenni è il risultato di un aumento globale dell’obesità, uno stile di vita più sedentario e una dieta energeticamente densa, data dal consumo eccessivo di alimenti amidacei altamente digeribili [5].
È quindi necessario intraprendere azioni concrete al fine di diminuire l’insorgenza di questa malattia, partendo proprio dal miglioramento nutrizionale dei prodotti da forno, come il pane.
Ridurre l’indice glicemico degli alimenti
Negli ultimi decenni c’è stato un crescente interesse, sia nel mondo accademico che nell’industria, alla riduzione dell’indice glicemico di diversi prodotti da forno e in particolar modo del pane.
Principalmente, sono due gli approcci che vengono utilizzati per diminuire la risposta glicemica: il primo prevede l’aggiunta di ingredienti come crusca, cereali integrali, fibre di frutta, farina a base di legumi, semi, carruba o amido resistente o amilosio che, essendo ricchi di fibre viscose, rallentano lo svuotamento gastrico [3,6,7]; nel secondo caso invece si cerca di limitare l’accessibilità dell’amido all’α-amilasi [8].
La digeribilità dell’amido, infatti, dipende, principalmente dal contatto tra l’α-amilasi, l’enzima, e l’amido, il substrato.
L’amido viene poi idrolizzato in glucosio e a quel punto può essere assorbito dall’intestino [1,9,10].
Nei vegetali l’amido è depositato all’interno delle cellule, quindi il contatto con l’amilasi è limitato dalla presenza della parete cellulare, costituita da polisaccaridi non digeribili.
Quando la parete cellulare è integra, l’amido è meno “raggiungibile” dall’enzima e quindi non viene idrolizzato o il processo di idrolisi è molto più lento, riducendo o rallentando l’assorbimento di glucosio a livello intestinale.
Il ruolo dell’integrità della parete cellulare
Nei legumi, la cui parete cellulare è spessa e poco permeabile, è stato verificato che l’integrità della struttura della parete cellulare è il fattore limitante che controlla la velocità e l’estensione dell’idrolisi dell’amido intrappolato all’interno delle cellule delle leguminose.
È stato dimostrato che la farina di legumi macinata ha quindi una digestione più rapida dei legumi cotti interi, perché la prima manca di una struttura della parete cellulare intatta [8,11].
Il processo di macinazione, utilizzato per trasformare il cereale o il legume in farina, infatti causa un’importante rottura delle pareti cellulari in cui sono intrappolati i granuli di amido, aumentando così l’accessibilità dell’amido da parte degli enzimi [12,13].
Anche nei cereali, pur avendo una parete cellulare più sottile e fragile rispetto ai legumi, è stato osservato come la conservazione delle matrici cellulari può aumentare la quantità di amido resistente agli enzimi.
È stato dimostrato che nelle cellule intatte di frumento e sorgo vi è un minore grado di idrolisi dell’amido (9 e 7%) rispetto alle cellule deliberatamente rotte (19 e 17%) nelle stesse condizioni [13].
L’aumento della granulometria della farina – e quindi la frazione di cellule intatte all’interno del prodotto alimentare – si è rilevato avere un’influenza anche sulla digeribilità del porridge.
Analizzando in vitro, la digestione dell’amido è risultata minore per il porridge di grano duro macinato grossolanamente rispetto al porridge con granulometria fine (33% in meno di amido digerito a 90 min).
La successiva analisi in vivo ha dimostrato che l’integrità strutturale (∼2 mm) dell’endosperma del grano viene in gran parte conservata durante la digestione gastro ileale, riducendo il tasso di idrolisi dell’amido e, di conseguenza, influenzando il metabolismo postprandiale [14].
L’effetto dell’integrità cellulare sul pane di grano duro
È chiaro quindi che, per quanto riguarda sistemi alimentari semplici come farina, cellule isolate o porridge, preservare l’integrità della parete cellulare, ad es. aumentando la granulometria della farina, è un modo promettente per diminuire la digeribilità dell’amido senza l’aggiunta di additivi o altri ingredienti.
Invece, quando questo effetto viene testato sul pane, l’integrità cellulare sembra perdere la sua capacità di ridurre la digeribilità dell’amido [15,16].
Pertanto, per chiarire ulteriormente l’effetto della granulometria sulla digeribilità dell’amido, Tagliasco et al. [17] hanno studiato la digeribilità dell’amido di farine con granulometria crescente (cioè, fine < 350 µm, media tra 1000 e 1800 µm e grande >1800 µm) e monitorato, durante il processo di panificazione, dove questo effetto venga perso, analizzando la digeribilità dell’amido anche negli impasti e nel pane, prodotti con le stesse farine.
Come già dimostrato [12], nella farina (Fig. 1A) la digeribilità dell’amido diminuisce con l’aumentare della granulometria delle particelle.
Tale effetto è principalmente dovuto alla presenza di pareti cellulari integre nella farina media e grande, che limitano l’accessibilità dell’amido, come mostrato nelle immagini al microscopio confocale (Fig. 2).
Per quanto riguarda la farina fine, invece, le cellule sono per lo più danneggiate e l’amido facilmente idrolizzabile.
Nell’impasto (Fig. 1B), non sono state riscontrate differenze di digeribilità tra le tre granulometrie, anche se sono presenti cluster di cellule intatte sia nella granulometria media che grande, come è visibile nelle immagini al microscopio (Fig. 2).
Pertanto, è possibile ipotizzare che durante le fasi di miscelazione e fermentazione, la parete cellulare non venga danneggiata, ma la sua porosità aumenti, aumentando così a sua volta l’accessibilità dell’amilasi ai granuli di amido.
Anche nel pane l’amido digerito non differisce significativamente tra le tre farine ed è possibile osservare al microscopio cluster di cellule intatte (Fig. 2), ma l’integrità della parete non è più in grado di limitare il contatto tra enzima e amido e quindi diminuire significativamente la digeribilità.
Conclusioni
È possibile concludere che la granulometria e la frazione di cellule integre limita la digeribilità dell’amido solo nella farina, in cellule isolate e sistemi alimentari semplici come porridge.
Per quanto riguarda il pane, invece, il processo di lavorazione fa sì che la parete cellulare non sia più in grado di limitare il contatto tra amido ed enzima, probabilmente a causa della crescente porosità della parete cellulare o del parziale danneggiamento dello strato esterno durante la fase di mixing e idratazione.
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Marianna Tagliasco
Ph.D. in Alimenti e Salute Umana presso l’Università degli Studi di Udine. La sua ricerca, in collaborazione con Wageningen University and Research, si concentra principalmente sullo sviluppo di prodotti da forno a basso indice glicemico, unendo gli aspetti nutrizionali dell’alimento a quelli più tecnologici e qualitativi.