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Il microbiota intestinale
Nel tratto gastrointestinale umano vivono oltre 1.000 miliardi di batteri, tra le 10 e le 100 volte superiore a quello delle cellule umane [1].
Questi microrganismi vengono chiamati collettivamente microbiota e oltre ai batteri, comprendono anche funghi, virus e archaea [2].
Firmicutes e Bacteroidetes costituiscono il 90% dei principali phyla del microbiota intestinale [3].
Più di 200 generi distinti, tra cui Lactobacillus, Bacillus, Clostridium, Enterococcus e Ruminococcus, costituiscono il phylum Firmicutes, di cui Clostridium rappresenta il 95%.
D’altra parte, il phylum Bacteroidetes è costituito principalmente dai generi Bacteroides e Prevotella.
Un altro phylum importante è Actinobacteria, rappresentato soprattutto dal genere Bifidobacterium [3].
Numerosi elementi possono influenzare il microbiota intestinale e data la variabilità interpersonale, è impossibile determinarne una composizione ideale [4].
Oltre alla variabilità genetica, anche l’uso di antibiotici, lo stile di vita e la dieta ne modificano la composizione.
Tuttavia, si può affermare che una popolazione microbica ricca e diversificata è indicativa di un microbiota sano ed equilibrato.
Grazie alla capacità di produrre diversi nutrienti e metaboliti, come acidi biliari, lipidi, aminoacidi, vitamine e acidi grassi a corta catena (SCFA), il microbiota intestinale ricopre un ruolo cruciale nella digestione degli alimenti.
Inoltre, svolge una funzione immunologica impedendo la crescita di batteri patogeni, mantenendo integrità e funzionalità dell’epitelio intestinale e ostacolando l’invasione batterica attraverso la sintesi di composti antimicrobici.
Negli ultimi anni, numerosi studi hanno dimostrato una connessione tra lo squilibrio nel rapporto tra le diverse specie (disbiosi) e le malattie non trasmissibili, come la sindrome dell’intestino irritabile (IBS) [5], le malattie cardiovascolari [6], l’obesità, il diabete [7], il cancro [8] e i disturbi neurologici [9].
Studiare il microbiota: il modello in vitro del colon umano MICODE
È stato dimostrato che gran parte degli elementi della dieta non vengono metabolizzati o assorbiti dall’ospite prima della trasformazione per opera del microbiota intestinale [10].
Gli stessi alimenti e ingredienti sono capaci di modulare la composizione della popolazione microbica intestinale, favorendo la crescita di certi gruppi batterici a discapito di altri.
Considerando questo scenario, mantenere un equilibrio nel rapporto tra le differenti specie microbiche del microbiota intestinale (noto come eubiosi) è fondamentale.
Con quanto detto, studiare l’impatto di alimenti o di farmaci sul microbiota intestinale in vivo è un obiettivo difficile da raggiungere.
Per questo, negli ultimi vent’anni, microbiologi e nutrizionisti hanno creato diversi modelli in vitro di fermentazione intestinale per imitare la digestione umana degli alimenti [11-13].
I modelli in vitro simulano un ecosistema più rappresentativo possibile dell’ecologia intestinale, intesa come pH, temperatura, O2 e potenziale redox.
MICODE (Multi-Unit In vitro Colon Model) è un modello intestinale in vitro messo a punto presso l’Università di Bologna – DISTAL (Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-alimentari) (Fig. 1).
Si tratta di un modello versatile, che può essere utilizzato sia per mimare una singola regione sia tutte e tre le regioni del colon umano (prossimale, trasversale e distale), e totalmente automatizzato.
Grazie al controllo tramite un PC è possibile, infatti, stabilire i parametri ecologici desiderati per tutta la durata dell’esperimento.
Il microbiota intestinale viene riprodotto all’interno del modello grazie a una coltura microbica derivante da campioni fecali.
Dopo aver inserito il campione da testare e il microbiota intestinale nel modello, la fermentazione viene condotta per 24/48 ore durante le quali si realizzano analisi per valutare i cambiamenti del microbiota intestinale e dei suoi metaboliti.
Una serie di indicatori permette di evidenziare le potenziali caratteristiche prebiotiche di un alimento.
Alimenti riformulati: che impatto hanno sul microbiota intestinale?
A causa della crescente diffusione di una dieta ricca di grassi e proteine animali e povera di fibre (dieta occidentale) insieme a uno stile di vita scorretto, le malattie cardiovascolari si sono diffuse nella maggior parte dei Paesi europei [14].
Per ovviare a questo, l’industria alimentare ha proposto alimenti con claim diretti a categorie specifiche di consumatori (es. basso contenuto di grassi, alto contenuto di proteine, ricco di fibra, senza lattosio, senza glutine).
Questa strategia ha portato alla formulazione di nuovi prodotti che hanno alterato le abitudini alimentari di consumatori sani che percepiscono i prodotti destinati a target specifici come prodotti più salutari.
Le conseguenze sul microbiota intestinale di queste nuove abitudini alimentari non sono note.
Con il modello MICODE sono stati condotti degli studi per valutare l’impatto di alcuni alimenti riformulati sul microbiota intestinale sia di soggetti sani che di intolleranti.
Ad esempio, uno studio ha evidenziato l’effetto del latte delattosato sul microbiota intestinale di soggetti intolleranti al lattosio e di soggetti sani [16].
I risultati hanno mostrato che, nei soggetti intolleranti, il latte delattosato riduceva la produzione di metaboliti potenzialmente tossici da parte del microbiota e favoriva la produzione di metaboliti benefici, come gli SCFA, insieme alla popolazione benefica dei lattobacilli [16].
Al contrario, il latte standard (contenente lattosio) risultava in un insulto per il microbiota intestinale di individui intolleranti al lattosio, aumentando i batteri opportunisti e riducendo gli SCFA, in particolare il butirrato.
Nei soggetti sani, invece, il latte delattosato causava una riduzione della produzione di SCFA e una riduzione dei commensali benefici che utilizzano il lattosio (Bifidobacteriaceae e Lactobacillales), al contrario del latte standard che, invece, ne sosteneva meglio la crescita.
Questo studio porta alla luce gli effetti del consumo da parte di soggetti sani di alimenti sviluppati per gruppi specifici di consumatori.
Infatti, per alcune intolleranze alimentari comuni, i casi realmente diagnosticati potrebbero non essere prevalenti.
Pertanto, le restrizioni dietetiche auto-imposte potrebbero essere dannose in quei consumatori che non avrebbero problemi a consumare l’alimento senza modifiche alla composizione.
Conclusioni
Lo studio preclinico di prodotti innovativi può essere realizzato su modelli come MICODE con costi accessibili anche per piccole e medie aziende. Al contrario, infatti, gli studi su animali sono associati a costi elevati, oltre a sfide etiche, come l’adempimento della direttiva europea (Direttiva 2010/63/EU) relativa alla riduzione dei test sugli animali.
Speriamo che tu abbia trovato la lettura di questo articolo sulle potenzialità del modello di microbiota intestinale MICODE interessante. Per altri contenuti simili, consulta la sezione Ricerca e Sviluppo del nostro sito web. E se vuoi restare sempre al passo con le ultime novità in fatto di Agrifood, iscriviti alla nostra Newsletter!
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[4] Bhattarai, Y.; Muniz Pedrogo, D.A.; Kashyap, P.C. Irritable bowel syndrome: a gut microbiota-related disorder? American Journal of Physiology-Gastrointestinal Liver Physiology, 2017.
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Flavia Casciano
Assegnista di ricerca presso l’Università di Bologna. Ha conseguito il dottorato di ricerca in “Agricultural, Environmental and Food Science and Technology” presso l’Università di Bologna. Gli interessi di ricerca sono rivolti allo studio in vitro delle interazioni microbiota intestinale – alimento.