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La filiera del pesce: il mercato ittico tra presente e futuro
Secondo gli ultimi rapporti previsionali, il maggiore exploit atteso tra i prodotti di origine animale dovrebbe riguardare il comparto ittico. Mercato, questo, trainato da Giappone e dall’Europa, ove la FAO ha stimato un consumo medio annuo pro-capite di 25 kg di prodotti ittici, con l’Italia capofila assieme a Portogallo, Spagna, Lussemburgo e Francia tra i Paesi membri dell’Unione Europea (oltre 30 kg di consumo medio annuo per ciascun italiano) [1].
I numeri parlano chiaro e delineano un comparto produttivo proiettato ad una crescita costante. L’ultima edizione del rapporto The State of World Fisheries and Aquaculture (SOFIA) prevede il raggiungimento di 200 milioni di t prodotte in combinazione tra acquacoltura e pesca di cattura entro il 2030 (+18% rispetto all’attuale livello di produzione globale).
Ad oggi, la top 3 produttiva vede, in sequenza, prevalere Cina, Indonesia ed India [2]: considerando il valore odierno di mercato (circa 60 miliardi di euro) e la potenziale platea di consumatori coinvolti, risulta evidente come gli Operatori di Settore (OSA) debbano essere abili nella gestione oculata dei rischi della filiera del pesce per mantenere elevati gli standard qualitativi e sensibili nei confronti della sostenibilità ambientale.
La filiera del pesce: la reperibilità del prodotto è a rischio
Le attività di pesca e di approvvigionamento condotte con pratiche non sostenibili hanno determinato uno sfruttamento eccessivo delle risorse ittiche. E ciò pone a rischio la reperibilità, odierna e futura, del pesce. A tutela degli ecosistemi acquatici sono state fondate, a fine anni ’90, organizzazioni e programmi internazionali senza scopo di lucro. Le loro attività si sono focalizzate sullo sviluppo di schemi di certificazione volontaria. Tali schemi sono basati su standard di pesca/allevamento sostenibile e sulla tracciabilità dei prodotti lungo tutta la filiera.
I marchi ad oggi più rinomati e presenti sul mercato sono MSC (da pratiche di pesca sostenibile), ASC (da pratiche di allevamento sostenibile) e Friend of the Sea (certifica, con lo stesso marchio, entrambe le pratiche).
La classificazione dei prodotti ittici
In generale, i prodotti della pesca e dell’acquacoltura si dividono in 3 macro-gruppi di animali acquatici: crostacei, molluschi e pesci. Secondo l’elaborazione EUMOFA (dati EUROSTAT e FAO), la produzione di crostacei e molluschi in UE rappresenta il 15% di prodotto ittico destinato al consumo umano. Questo è equamente suddiviso tra molluschi bivalvi (mitili, vongole, ostriche, ecc.), cefalopodi (calamaro, seppia, polpo, ecc.) e crostacei. Il restante 85% è appannaggio della produzione europea di pesce. Questa è suddivisibile tra specie di acqua salata (tonno, sgombro, aringa, merluzzo, ecc.), di acqua dolce (trota, carpa, luccio, ecc.) e diadrome (salmone, anguilla, ecc.). Il 75% di tutta la materia prima pesce lavorata in UE ha come fonte di approvvigionamento le attività di cattura UE e non-UE. Il restante 25% (valore ben maggiore a livello globale e previsto in ulteriore sensibile aumento nella prossima decade) deriva dalle pratiche di acquacoltura, anch’esse comunitarie e non (Figura 1).
Tra queste, il segmento produttivo più significativo per valore delle produzioni è l’allevamento di specie d'acqua dolce (effettuato comunemente in vasche contigue a corpi idrici). A seguire, quello di specie marine (gestito in gabbie site in areali marini vicini alla costa) (Fig. 2).
Acquacoltura: quali sono i fattori importanti
Le pratiche di acquacoltura permettono ai pesci di alimentarsi in modo controllato e verificato, in quanto tutta la mangimistica è secca (azzerato il rischio di zoonosi da parassiti, a differenza del pescato [3]) e concordata tra allevatore ed Autorità sanitaria (l’eventuale uso di antibiotici prevede prescrizione veterinaria e relativa imposizione di tempi di sospensione).
Fondamentale è ottemperare ad un’appropriata densità di allevamento (al fine di evitare stress al pesce, con relativo innalzamento del livello di cortisolo [4], esistono imposizioni normative negli stati membri sul rapporto % acqua/pesce a cui attenersi [5]) e di approvvigionamento idrico idoneo all’accrescimento non forzato.
La qualità dell’acqua è fondamentale: vi sono specie più sensibili agli inquinanti (ad es., trota e salmerino) ed altre meno (ad es., anguilla, pangasio, tilapia). Per cui l’areale di pesca o il corpo idrico/area marina di allevamento diventa una discriminante. Un’altra variabile è l’attrezzo di pesca utilizzato. Una categoria di attrezzi non appropriati o tempi di pesca eccessivamente dilatati potrebbero vanificare la qualità del pescato, facendo insorgere stress, alterazioni del muscolo o altre lacerazioni altrimenti non usuali in specie cresciute nel loro habitat naturale (Fig. 3).
La filiera di trasformazione del pesce: caratteristiche e peculiarità
I prodotti della pesca di cattura e/o dell’acquacoltura vengono immessi sul mercato secondo le seguenti categorie merceologiche:
- fresco, ossia pesce non trasformato, intero o preparato (cioè sottoposto ad operazioni preventive, ad es. eviscerazione, decapitazione e filettatura, atte a modificarne l’integrità anatomica), che subisce il solo trattamento di frigoconservazione;
- trasformato, derivante da pesce sottoposto ad operazioni unitarie (come ad es. salatura, asciugatura, cottura, affumicatura, confezionamento e sterilizzazione) utili nel loro insieme a garantire la salubrità alimentare. In funzione delle caratteristiche chimico-fisiche o della gamma alimentare del prodotto finito (ad es., ready-to-eat), i trasformati possono essere a loro volta classificati in semiconserve (necessitano della catena del freddo) o in conserve (stabili a temperatura ambiente).
Diversi processi di trasformazione per diverse categorie merceologiche
A seconda della categoria merceologica di destinazione, la filiera produttiva sarà caratterizzata da diversa complessità operativa. Ciò in relazione ai potenziali pericoli individuati ed all’analisi dei rischi correlata alle caratteristiche chimico-fisiche del prodotto finito (principalmente aw e pH). Nella produzione di trasformati a base di pesce, ogni fase di trasformazione può avvenire solo in stabilimenti autorizzati e riconosciuti dall’Autorità Sanitaria, in quanto tali alimenti finiti potrebbero presentare rischi specifici per la salute umana [6].
Il pesce è altamente deperibile. Dopo la sua cattura e macellazione, si attivano repentini processi catabolici di origine sia autolitica che batterica preceduti dalla comparsa del rigor mortis. Tale processo di contrazione muscolare, legato alla degradazione dell’ATP in ADP susseguente alla demolizione del glicogeno post mortem, è molto breve nei pesci (1-7 ore dopo la cattura).
Le fasi di rigor mortis dei prodotti ittici
La durata delle sue fasi (pre rigor, rigor e post rigor) è influenzata dalla temperatura del muscolo e dal suo contenuto di glicogeno. Questo valore dipende dalle condizioni fisiologiche del pesce prima della cattura, dall’attrezzo usato per la pesca e dal tipo di macellazione (indici di stress). Maggiore è il tasso di glicogeno (minore stress), più alti saranno i valori di pH post mortem; di conseguenza la glicolisi anaerobia sarà più duratura e produrrà acido lattico in eccesso, ritardando al contempo l’azione degradativa delle proteasi autoctone [7].
Preservare le caratteristiche organolettiche e nutrizionali del pesce
È possibile quindi estendere le fasi di pre rigor e rigor mortis. Per farlo, bisogna condurre il pesce a temperature prossime a 0°C immediatamente dopo la cattura e macellazione. Al tempo stesso, è indispensabile mantenere il muscolo del pesce a temperatura inferiore rispetto al limite critico di +4°C lungo tutta la filiera. Ciò viene fatto al fine di preservare le caratteristiche organolettiche e nutrizionali dei prodotti ittici.
All’arrivo nello stabilimento di trasformazione, il pesce sotto ghiaccio viene avviato alle operazioni previste anche nella preparazione del fresco non trasformato. All’eviscerazione fa seguito la decapitazione e contemporanea filettatura (Fig. 4).
La filettatura
L’operazione di filettatura è fortemente influenzata dalle fasi di rigor mortis. In particolare, non può essere effettuata durante il pre rigor: si assisterebbe al “restringimento” della classica forma affusolata del filetto di pesce con scadimento qualitativo in termini visivi. Ma nemmeno troppo tempo dopo la comparsa del post rigor, in quanto la risoluzione dei ponti fra actina e miosina, cui fa seguito l’idrolisi proteica e la liberazione di ammoniaca e di altri amminoacidi liberi, determinerebbe un rammollimento eccessivo delle carni (minore resa produttiva e scadimento sensoriale).
Per cui, oltre al monitoraggio della temperatura e alla conoscenza delle caratteristiche della specie, può risultare significativo valutare il pH del muscolo dopo la risoluzione del rigor. Il range 5,8-6,2 risulta un buon compromesso operativo.
Ridurre la deperibilità del pesce dopo la filettatura
Dopo la filettatura, la filiera di processo può prevedere tutta una serie di operazioni unitarie atte a ridurre la deperibilità del prodotto finito. Tra queste si distinguono:
- salatura, effettuata a secco (Figura 5) o con salamoia a seconda delle dimensioni del filetto e dei processi tecnologici successivi. L’azione conservante del sale si esplica attraverso l’effetto inibente di Na+ e la diminuzione dell’aw del substrato alimentare;
- affumicatura, può essere a caldo o a freddo in relazione alla temperatura della cella di affumicatura. L’effetto conservativo del fumo naturale si esplica sia per la deposizione di sostanze antimicrobiche (fenoli, carbonili, ecc.), sia per la combinazione a cicli combinati di asciugatura, studiati per evitare un’eccessiva disidratazione superficiale;
- marinatura, tecnica di trasformazione che prevede la riduzione del pH sotto il limite critico di 4,6 ottenuta tramite immersione in aceto o succo di limone;
- pastorizzazione, trattamento termico avente come obiettivo la distruzione delle forme vegetative patogene e di alcune loro tossine (conseguita con almeno 6 riduzioni logaritmiche del patogeno target, ad es. Listeria monocytogenes o Salmonella), senza sostanziale modificazione dei valori nutrizionali;
- sterilizzazione, trattamento termico mirato alla distruzione di tutti i microrganismi ed alla contemporanea inattivazione enzimatica (necessaria riduzione di 12 unità logaritmiche riferite alle spore di Clostridium botulinum);
- confezionamento, operazione che comporta l’applicazione di una protezione fisica tra ambiente esterno, eventuale spazio di testa e prodotto finito. Può essere sottovuoto oppure in atmosfera protettiva (per i prodotti ittici si usa solitamente una miscela 70% N2 / 30% CO2).
Le garanzie al consumatore
Tutte le operazioni unitarie devono essere condotte nel rispetto delle corrette prassi igieniche (GHP) e di lavorazione (GMP) previste nei Programmi di Prerequisiti (PRP) aziendale. Gli OSA sono tenuti a predisporle secondo i principi del sistema HACCP. E ad attuarle al fine di controllare i pericoli inerenti ai prodotti ittici trasformati e prevenire possibili rischi per la salute pubblica.
Condurre una scelta informata: l’importanza delle etichette per la trasparenza
A seconda dell’origine della materia prima (pesca di cattura o allevato) e della tipologia di prodotto finito (semiconserve o conserve), lo stesso verrà sottoposto a controlli di igiene di processo e di sicurezza alimentare [8-11], parallelamente ai controlli ufficiali svolti degli organi pubblici di controllo a tutela della sicurezza alimentare [12]. Ciascuna unità di vendita al consumatore dovrà presentare opportuna etichetta recante, oltre al numero di riconoscimento dello stabilimento di trasformazione, le indicazioni obbligatorie utili alla tracciabilità del prodotto sul mercato e ad informare correttamente il consumatore sulle caratteristiche del prodotto e sulla sua conservazione [13].
Al fine di permettere ai consumatori di effettuare scelte informate, tutti i pesci trasformati mediante affumicatura o anche cotti prima o durante l’affumicatura stessa e non designati come sughi di pesce o preparazioni/conserve di pesce devono riportare in etichetta la denominazione commerciale della specie e suo nome scientifico, il metodo di produzione e la zona (espressa in termini comprensibili) in cui il pesce è stato pescato o allevato, compresa la categoria di attrezzi da pesca usati nella pesca di cattura [14].
Conclusioni
I cambiamenti climatici e demografici sono un propulsore continuo di evoluzione. Risulta necessario recepire gli stimoli ed i bisogni, traducendoli in termini di servizio e trasparenza al consumatore. Considerando le prospettive, la filiera di trasformazione del pesce deve investire in conoscenze e professionalità capaci di valutare le problematiche legate a qualità e sostenibilità. Ciò risulta fondamentale per un settore come quello dei prodotti ittici, che diverrà sempre più strategico in futuro per vendite ed appetibilità commerciale.
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[1] Direzione Generale degli Affari marittimi e della pesca della Commissione Europea. (2018). Il mercato ittico dell’UE. Osservatorio europeo del mercato dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura (EUMOFA): 11-24.
[2] FAO. (2018). The State of World Fisheries and Aquaculture 2018 – Meeting the sustainable development goals. Rome.
[3] European Food Safety Authority, EFSA Panel on Biological Hazards (BIOHAZ). (2010). Scientific Opinion on risk assessment of parasites in fishery products. EFSA Journal 2010, 8 (4): 1543.
[4] Poli B.M. (2009). Farmed fish welfare-suffering assessment and impact on product quality. Italian Journal of Animal Sciences, 8: 139-160.
[5] Norwegian Seafood Council. (2018). Nurturing growth: the Norwegian way. Report on aquaculture in Norway 2017. https://sjomatnorge.no/wp-content/uploads/2014/04/SFN_Aquaculture_DontPrint.pdf
[6] Parlamento e Consiglio dell’Unione Europea. (2004). Regolamento CE n. 853/2004 del 29 aprile 2004 che stabilisce norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale. Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, 139: 55.
[7] Daskalova A. (2019). Farmed fish welfare: stress, post-mortem muscle metabolism, and stress-related meat quality changes. International Aquatic Research, 11 (2): 113-124.
[8] Parlamento e Consiglio dell’Unione Europea. (2005). Regolamento CE n. 2073/2005 del 15 novembre 2005 sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari. Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, 338: 1-26.
[9] Parlamento e Consiglio dell’Unione Europea. (2006). Regolamento CE n. 1881/2006 del 19 dicembre 2006 che definisce i tenori massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari. Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, 364: 5-24.
[10] Commissione delle Comunità Europee. (1995). Decisione della commissione del 8 marzo 1995 che fissa i valori limite di ABVT (azoto basico volatile totale) per talune categorie di prodotti della pesca e i relativi metodi d’analisi. Gazzetta ufficiale delle Comunità europee, 97: 84-87.
[11] Commissione Europea. (2011). Regolamento UE n. 1276/2011 dell’8 dicembre 2011 relativo al trattamento per l’uccisione di parassiti vitali in prodotti della pesca destinati al consumo umano. Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, 327: 39-41.
[12] Commissione Europea. (2017). Regolamento UE n. 625/2017 del 15 marzo 2017 relativo ai controlli ufficiali e alle altre attività ufficiali effettuati per garantire l’applicazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi, delle norme sulla salute e sul benessere degli animali, sulla sanità delle piante nonché sui prodotti fitosanitari. Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, 95: 1-142.
[13] Commissione Europea. (2011). Regolamento UE n. 1169/2011 del 25 ottobre 2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori. Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, 304: 18-63.
[14] Commissione Europea. (2013). Regolamento UE n. 1379/2013 dell’11 dicembre 2013 relativo all’organizzazione comune dei mercati nel settore dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura. Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, 354: 1-21.
Matteo Gumiero
Da oltre 4 anni ricopre il ruolo di Responsabile Assicurazione Qualità presso Friultrota di Pighin srl. Ha conseguito il Ph.D. in Scienze degli Alimenti nel 2012. In precedenza si è occupato di altre tematiche, tra cui le interazioni food packaging-alimenti e gli effetti della reidratazione sulla funzionalità biologica delle proteine del latte. Da sempre appassionato del connubio esistente tra alimento e salute psico-fisica.