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Dal produttore al consumatore: cos’è la sicurezza alimentare?
Siamo davvero sicuri di sapere cosa significa “sicurezza alimentare”? O, più nello specifico, “alimento sicuro”?
La sicurezza alimentare fonda le sue basi sull’igiene degli alimenti, così come si può dedurre dalla definizione data dal Codex Alimentarius e riconosciuta in ambito internazionale: “l’igiene alimentare è l’insieme di tutte le condizioni e delle misure necessarie a garantire la sicurezza e l’idoneità degli alimenti in ogni fase della catena alimentare”. Mantenerla oggi sembrerebbe più complicato del passato. Questo poiché l’alimento attraversa una lunga catena di passaggi, dalla produzione al consumo. Ed ogni passaggio può diventare occasione di una eventuale contaminazione.
Quando si parla di sicurezza alimentare, quindi, si fa riferimento alla qualità igienico-sanitaria degli alimenti o, più semplicemente, alla garanzia che un alimento non causerà danno dopo che è stato consumato secondo l’uso a cui esso è destinato. E questa è la prerogativa che il consumatore moderno si aspetta venga rispettata quando mangia o beve.
Il cibo può essere fonte di pericoli microbiologici chimici e fisici
È bene sapere che il cibo può essere fonte di pericoli microbiologici, chimici o fisici. I primi includono principalmente batteri patogeni come la Salmonella, Clostridium botulinum, Listeria Monocytogenes e virus tra cui quello dell’epatite A, il virus della toxoplasmosi. I pericoli chimici sono invece rappresentati da contaminanti industriali, ambientali, prodotti durante le lavorazioni, ma possono derivare anche dall’uso improprio di additivi e di prodotti chimici impiegati in agricoltura.
Sono per esempio contaminanti chimici le micotossine prodotte da alcune muffe che contaminano derrate alimentari in campo, nei semilavorati o nei prodotti finiti mal conservati, così come anche i residui di pesticidi, le sostanze che si possono formare durante la cottura ad alte temperature e le diossine. Infine, il pericolo fisico è dato dalla presenza di materiali vari, come scorie, vetro, metallo, plastica, carta gusci e così via dicendo [1].
Ovviamente, opportune norme igieniche e comportamentali rispettate dagli operatori del settore alimentare all’interno delle aziende riducono tutti questi pericoli. Un sistema di autocontrollo (il cosiddetto HACCP), garantisce che queste norme siano rispettate e che qualora ciò non dovesse succedere il rischio che a farne le spese sia la sicurezza dei nostri alimenti sia ridotto al minimo.
Verificare la sicurezza di un prodotto
È evidente, quindi, che la garanzia di produrre prodotti alimentari sicuri richiede un controllo rapido ed accurato di tutte le sostanze chimiche e microrganismi nocivi per la salute umana.
Oggigiorno, nelle industrie alimentari la sicurezza di un prodotto viene confermata e verificata attraverso analisi chimiche e microbiologiche periodiche. Tali procedure utilizzano convenzionalmente tecniche come cromatografia, spettrofotometria, elettroforesi. E queste richiedono lunghe fasi di estrazione e pretrattamento dei campioni da analizzare, attrezzature costose e personale altamente qualificato.
Pertanto, tra le industrie agroalimentari la richiesta di tecniche analitiche alternative è sempre più pressante. La tecnologia ideale sarebbe l’impiego di dispositivi economici, dalla rapida risposta quantitativa, possibilmente portatili e dal facile utilizzo che segnalano continuamente o su richiesta i risultati, con un minimo intervento umano.
Scendono in campo i biosensori
Con i biosensori è possibili avere cibi sempre più sicuri grazie alle loro singolari caratteristiche che soddisfano quei requisiti tanto ricercati di avanguardia tecnologica ed economicità. Si presentano come una combinazione perfetta e intelligente di componenti biologiche, come enzimi o anticorpi, e di componenti tecnologiche che rilevano cambiamenti fisico-chimici e li trasmettono sotto forma di dati.
Cosa sono i biosensori?
Un biosensore può essere semplicemente definito come un dispositivo analitico utilizzato per il rilevamento di una specifica sostanza. Al contatto con essa, il biosensore reagisce e trasforma tale interazione in un dato rilevabile quantitativamente. Un esempio classico è il glucometro, lo strumento con cui i pazienti diabetici sono in grado di rilevare la concentrazione di glucosio nel sangue.
Scientificamente parlando, i biosensori sono sistemi analitici in grado di convertire un’attività biologica in un segnale (elettrico, ottico, acustico) misurabile mediante la stretta integrazione di un elemento biologico sensibile con un sistema strumentale di trasduzione, acquisizione e analisi dei dati.
Questi dispositivi sfruttano le caratteristiche di specificità, affinità e reattività di molte molecole biologiche naturali (enzimi, anticorpi, DNA, RNA) o di altri mediatori biologici, come i polimeri a stampo molecolare (recettori biomimetici) e gli aptameri (oligomeri di acidi nucleici in grado di legare selettivamente le molecole oggetto di interesse) [2].
Come si classificano i biosensori
I biosensori possono essere classificati sia in base alla componente biologica impiegata per il riconoscimento della sostanza di interesse sia in base alla tecnica di trasduzione utilizzata per la conversione del segnale biochimico.
Nel primo caso si parla di biosensori catalitici, che sfruttano la caratteristica degli enzimi di catalizzare in modo specifico determinate reazioni, e di biosensori ad affinità, in cui l’evento biochimico è rappresentato dalla formazione di un complesso estremamente stabile; il caso più semplice è rappresentato dal legame anticorpo/antigene. In entrambi i casi la principale caratteristica resta la specificità che è garantita dall’utilizzo di recettori biologici che per loro natura sono specifici verso particolari analiti [3].
Biosensori catalitici e ad affinità possono essere opportunamente accoppiati ad una grande varietà di trasduttori di segnale: elettrochimici, ottici, termici ed acustici. Tra questi, la trasduzione elettrochimica è la più utilizzata per lo sviluppo di biosensori nel campo agroalimentare, grazie alle sue peculiari caratteristiche di semplicità di utilizzo ed economicità di strumentazione, nonché possibilità di realizzare un dispositivo miniaturizzabile [4]. La letteratura scientifica oggi vanta di numerosi biosensori elettrochimici potenzialmente applicabili all’industria alimentare.
Biosensori per l’industria alimentare
Si parte dai più comuni biosensori amperometrici enzimatici per il monitoraggio del contenuto di glucosio, primo indicatore di maturazione di frutta e verdura, basati sull’ossidazione dell’enzima glucosio ossidasi: dalla corrente generata in seguito alla conversione da parte dell’enzima del glucosio in specifici prodotti di reazione è possibile facilmente risalire al contenuto zuccherino del campione in esame.
Lo stesso concetto viene applicato ai biosensori amperometrici per il monitoraggio del contenuto di acido lattico nel corso delle fermentazioni lattiche e malolattiche, o per il monitoraggio dell’etanolo nei processi di vinificazione e, non per ultimo, per la valutazione del contenuto di acido gluconico e glicerolo sulle bucce delle uve, la cui presenza dà importanti informazioni sullo stato fitosanitario delle uve prima che quest’ultime inizino il processo di vinificazione [5].
Biosensori per insetticidi, pesticidi, tossine e microrganismi patogeni
Per identificare invece la presenza di insetticidi e pesticidi, la maggior parte delle tecniche utilizzate prevede l’utilizzo di enzimi idrolasi, come la acetilcolinesterasi, la cui attività catalitica viene misurata prima e dopo l’esposizione al campione che si presume inquinato. Se vi è una diminuzione nella risposta enzimatica, vuol dire che i pesticidi sono presenti. Tuttavia, è recente lo sviluppo di un biosensore ad affinità impedimetrico che permette la rilevazione della presenza di pesticidi in tempi molto più rapidi [6].
Notevole interesse è rivolto all’utilizzo di biosensori ad affinità per la determinazione di tossine, micotossine e microrganismi patogeni eventualmente presenti nei prodotti alimentari. Si parla perlopiù di immunosensori, ovvero biosensori in cui la componente biologica è rappresentata da anticorpi. Grazie al complesso, estremamente stabile e selettivo, che ogni anticorpo crea con il rispettivo antigene, è possibile rilevare concentrazioni molto basse (ng) di tali contaminanti.
Tra tutti, numerosi immunosensori sono stati sviluppati per la determinazione di Ocratossina A (presente in uve e vini, semi di cacao, chicchi di caffè, cereali, frutta secca e loro derivati), Aflatossine B1 e M1 (presenti in cereali, legumi, latte, carne), nonché per la rilevazione di agenti patogeni quali Escherichia Coli, Salmonella, Listeria monocytogenes [7].
I microarray
Negli ultimi anni, infine, si è registrato un notevole interesse per lo sviluppo di sistemi multi-analita, i cosiddetti microarray in grado di individuare la contemporanea presenza di più sostanze chimiche o più agenti patogeni.
L’utilizzo di biosensori potrebbe apportare grandi vantaggi nell’analisi rapida di screening di materie prime e prodotti per l’individuazione di contaminanti ma si intravedono interessanti possibilità di utilizzo anche nel riconoscimento di pattern molecolari per stabilire origine e qualità dei prodotti (tutala dei prodotti a marchio e difesa dei prodotti tipici del territorio).
I biosensori: protagonisti delle tecnologie di sicurezza alimentare del futuro?
In conclusione, l’industria agroalimentare è sempre in cerca di metodi innovativi ed estremamente discriminanti per il monitoraggio di sostanze legate alla sicurezza delle produzioni alimentari.
Sarà il progresso tecnologico a dirci cosa ci riserva il futuro. Intanto, una cosa è certa: i biosensori possono essere utilizzati in tutte le fasi della filiera alimentare, dall’analisi delle materie prime al monitoraggio delle successive fasi di manipolazione e trasformazione fino al prodotto finito. E potrebbero sostituire completamente le complesse tecnologie oggi in uso.
Ma il loro valore aggiunto è legato senza dubbio alla possibilità di diventare realtà quotidiana nella vita di ogni consumatore: chi non gradirebbe constatare con i propri occhi se ciò che sta per mangiare è effettivamente sicuro o meno?
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[1] van Asselt, E.D., van der Fels-Klerx, H.J., Marvin, H.J.P., van Bokhorst-van de Veen, H., Nierop Groot, M. (2016) Overview of food safety hazards in the European dairy supply chain. Comprehensive Reviews in Food Science and Food Safety, 16.
[2] Scheller, F.W., Wollenberger, U., Warsinke, A., Lisdat, F. (2001) Research and development in biosensors. Current Opinion in Biotechnology, 12, 35-40.
[3] Mello, L.D., Kubota, L.T. (2002) Review of the use of biosensors as analytical tools in the food and drink industries. Food Chemistry, 77, 237-256.
[4] Thevenot, D.R., Toth, K., Durst, R.A., Wilson, G.S. (2001) Electrochemical biosensors: recommended definitions and classification. Biosensors and Bioelectronics, 16, 121-131.
[5] Bollella, P., Gorton, L. (2018) Enzyme based amperometric biosensors. Current Opinion in Electrochemistry, 10, 157-173.
[6] Malvano, F., Albanese, D., Pilloton, R., Di Matteo, M., Crescitelli, A. (2017) A new label-free impedimetric affinity sensors based on cholinesterase for detection of Organophosphorous and Carbamic pesticides in food samples: Impedimetric versus Amperimetric detection. Food and Bioprocess Technology, 10, 1834-1843.
[7] Malvano, F., Pilloton, R., Albanese, D. (2020) Label-free impedimetric biosensors for the control of food safety – a review. International Journal of Environmental Analytical Chemistry, 100(4), 468-491.
Francesca Malvano
Laureata in Ingegneria Alimentare e Dottore di Ricerca in Ingegneria Industriale presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università degli Studi di Salerno. Amante delle ricerca e dell’innovazione. Da quasi 10 anni, i suoi studi sono incentrati sullo sviluppo di biosensori per il controllo di sostanze legate alla qualità e alla sicurezza dei prodotti agroalimentari.