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Panorama economico nazionale del settore lattiero-caseario
Quello lattiero-caseario è il primo settore alimentare italiano con un fatturato di 16,5 miliardi di euro nel 2020 equivalenti al 11,5% di quello complessivo della sezione ‘’food’’ nazionale [1].
L’Italia è il maggior produttore di Formaggi tipici DOP d’Europa, molti dei quali ottenuti a partire da latte crudo, che richiedono l’utilizzo di un siero-innesto naturale rappresentato da una miscela di flore lattiche (lattobacilli e lattococchi).
Ogni anno le imprese italiane producono tonnellate di formaggi, di cui 525.414 tonnellate sono prodotti D.O.P. e I.G.P che impiegano la manodopera di 27.933 persone [2].
È semplice comprendere dunque la grande importanza che il settore ricopre per l’economia nazionale, è dunque necessaria un’operazione di tutela di tale ramo dell’agroalimentare italiano, preservando la sua competitività a livello internazionale.
Interferenza delle sostanze farmacologicamente attive nella produzione lattiero-casearia
Molti dei prodotti D.O.P vengono ottenuti a partire da latte crudo, inteso come prodotto della secrezione della ghiandola mammaria di animali che non sia stato sottoposto a temperatura > 40°C o a un trattamento con effetto equivalente, che richiedono l’utilizzo di un siero-innesto naturale (Parmigiano Reggiano D.O.P., Grana Padano D.O.P.), una miscela di flore lattiche (lattobacilli e lattococchi).
Il latte destinato alla caseificazione può essere veicolo di residui di sostanze farmacologicamente attive provenienti dalla somministrazione delle stesse agli animali per il trattamento di diverse patologie.
Tali sostanze, una volta somministrate, si distribuiscono in tutti i tessuti dell’organismo, per cui è possibile che si concentrino anche nei prodotti come latte, carne, uova [3].
I residui farmacologici presenti nel latte sono normati a livello europeo dal Reg. 37/2010 con il quale sono stati stabili degli LMR ai quali il latte deve essere necessariamente conforme.
Il rispetto dei LMR garantisce al consumatore che tali prodotti non costituiscono un rischio per la salute umana.
Diversi studi hanno dimostrato che residui antibiotici appartenenti alla famiglia delle penicilline, cefalosporine di terza e quarta generazione, e loro metaboliti presenti nel latte in concentrazioni inferiore o uguale al LMR stabilito, esercitano un effetto inibente nei confronti del normale sviluppo e normale moltiplicazione della microflora lattica virtuosa, produttrice di acido lattico [4] .
Tale inibizione non consente, o ritarda, l’abbassamento del livello di acidità durante la fase di caseificazione con conseguente sviluppo di evidenti alterazioni a carico della tessitura, costituite da crepe e occhiature, nel prodotto finito.
Dunque, la presenza di residui nel latte a livelli inferiori e/o pari ai limiti massimi residuali stabiliti dalla legislazione europea può implicare un problema per la produzione lattiero-casearia [4].
Metodi di rilevazione di residui farmacologicamente attivi nel latte
I residui delle sostanze farmacologicamente attive possono essere riscontrati nei prodotti di origine animale, il latte in questo caso, a seguito di trattamenti terapeutici subiti dall’animale o pervenuti accidentalmente a causa di contaminanti ambientali o inquinamento del mangime.
Al giorno d’oggi sono diversi i metodi analitici sperimentati e resi disponibili per la ricerca dei residui di farmaci.
Con il tempo essi sono stati perfezionati a tal punto da essere caratterizzati da una sensibilità tale da consentire la determinazione di residui negli alimenti dell’ordine dei ppb (parti per bilione), o addirittura ppt (parti per trilione).
Tali metodologie possono essere classificate in qualitative, quantitative e semiquantitative, in base alle risposte che forniscono.
I test qualitativi danno risposte che indicano la presenza o l’assenza di una sostanza in un alimento. Per poter identificare i campioni positivi o negativi è indispensabile che venga fissato un valore soglia, tenendo conto dei LMR.
Quelli di tipo quantitativo confrontano il campione in esame con dei valori di riferimento certificati, mediante i quali è possibile realizzare una curva di calibrazione.
Infine, abbiamo i test semi-quantitativi. Essi somigliano a quelli quantitativi, ma a differenza di questi non danno risposte espresse come precisi valori, piuttosto come range di concentrazione, ad esempio: campioni negativi, debolmente positivi, positivi, molto positivi.
All’interno della filiera del latte vengono spesso utilizzate metodiche semiquantitative, come i test di inibizione della crescita microbica e i test immunologici, utilizzati come test di screening, in quanto permettono di saggiare in breve tempo una grande quantità di campioni, dando un basso numero di falsi negativi e un numero accettabile di falsi positivi [6].
Oppure vengono spesso utilizzati test rapidi di tipo qualitativo, soprattutto per il controllo dei residui antibiotici, che consentono di realizzare in pochi minuti un’analisi qualitativa (presenza o assenza), senza però quantificare il farmaco presente.
Di solito viene fissato come limite, in base al quale il test risulterà negativo o positivo, il LMR fissato per un dato farmaco.
Questa tipologia di test risulta molto utile e pratica poiché possono essere effettuati rapidamente anche in stalla dall’allevatore stesso.
Tuttavia, esistono anche altre metodiche analitiche, ultra sensibili, che contribuiscono largamente a rendere i controlli sui residui farmacologici negli alimenti sempre più efficaci, soprattutto quelle basate sulla combinazione di cromatografia liquida e spettrometria di massa (HPLC/MS).
La cromatografia liquida ad alta pressione permette di separare le componenti di una miscela, mentre la spettrometria di massa fornisce la possibilità di identificarle. Tali tecniche analitiche ci permettono dunque di essere in grado di individuare e quantificare residui farmacologici al di sotto dei LMR stabiliti.
Sfruttando tali tecniche sarebbe possibile individuare degli ulteriori limiti residuali, inferiori a quelli già stabiliti ad oggi dalla legge utili alla sola tutela della salute del consumatore.
Questi ulteriori limiti residuali, definibili ‘’tecnologici’’, potrebbero essere messi a disposizione del settore caseario per evitare l’insorgenza di difetti nelle forme.
L’approfondimento di tali tematiche, permette di rispondere a quella che appare come un’esigenza sempre più sentita da parte del settore: lo sviluppo di test di screening più accurati, rapidi ed ampio spettro.
Ovvero test che consentirebbero dei controlli più stringenti e accurati della materia prima in entrata, ancor prima che questa entri all’interno del ciclo produttivo. Tutto ciò al fine di tutelare quei prodotti che oggi rappresentano un vero e proprio simbolo di eccellenza nel settore lattiero-caseario a livello nazionale e internazionale.
Conclusioni
L’individuazione di LMR tecnologici potrebbe essere utile al settore caseario per effettuare controlli più stringenti e specifici sulla materia prima in entrata, al fine di tutelare il loro prodotto finito già nella fase iniziale del processo produttivo.
Speriamo che tu abbia trovato la lettura di questo articolo sui limiti residuali per i prodotti caseari interessante. Per altri contenuti simili, consulta la sezione Blog del nostro sito web. E se vuoi restare sempre al passo con le ultime novità in fatto di Agrifood, iscriviti alla nostra Newsletter!
[1] TUTTOFOOD, (2021). Lattiero caseario, settore alle prese con pandemia e nuove sfide.
[2] ISMEA, (2018). Rapporto 2018 ISMEA – QUALIVITA sulle produzioni agroalimentari e vitivinicole italiane DOP, IGP e STG.
[3] Nebbia, C., (2009). Residui di farmaci e contaminanti ambientali nelle produzioni animali, EDISES.
[4] Gamba, V., et al. (2020). Residui di antibiotici sulle colture lattiche del siero innesto nel formaggio, pp.60-70.
[5] Pecorari, M., (2011). Il Parmigiano Reggiano, la qualità e i difetti. Grafiche Step editrice, Parma. Pagine 113-117.
[6] Berendsen, B.J.A., et al. (2011). Are antibiotic screening approaches sufficiently adequate? A proficiency test. Analytica Chimica Acta 685, 170-175.
Giulia Rampazzo
PhD student in sicurezza alimentare presso l’Università di Bologna, si occupa dell’analisi chimica di alimenti di origine animale per la ricerca di residui di contaminanti chimici, nonché della messa a punto di metodiche analitiche per la ricerca e quantificazione degli stessi.