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Viticoltura e cambiamento climatico
Le lunghe e calde estati degli ultimi anni sono un inquietante promemoria di quanto il cambiamento climatico sia reale e di come influisca sulle nostre vite.
È innegabile come, anche alle nostre latitudini, siano in aumento i fenomeni meteorologici estremi: lunghe ondate di calore, concentrazioni di precipitazioni in brevi intervalli temporali, gelate tardive, grandinate fuori stagione.
Accanto alle evidenti conseguenze sulla nostra quotidianità, sulla salute e sul benessere, il cambiamento climatico, con l’incremento di eventi estremi e la riduzione della regolarità e prevedibilità dei cicli naturali, condiziona negativamente anche diversi settori economici, in primo luogo quelli che dipendono dai cicli naturali stessi, come le attività agricole e zootecniche.
La vitivinicoltura, tra tutte, è un’attività particolarmente fragile e delicata.
La coltivazione della vite è diffusa nell’area temperata tra il 30° e il 50° parallelo in entrambi gli emisferi (con la fascia tra il 45° e il 46° che assume connotazioni quasi mitologiche per gli appassionati).
In queste zone si trovano le condizioni ottimali affinché la pianta prosperi e produca frutti di qualità: temperature né troppo rigide né eccessivamente elevate, precipitazioni concentrate nelle stagioni intermedie, irraggiamento solare adeguato a favorire lo sviluppo e la maturazione.
Si tratta però di un equilibrio precario e già soggetto ad alterazioni, manifeste nel costante anticipo delle vendemmie negli ultimi anni. Uno studio pubblicato su PNAS [1] rileva che un innalzamento della temperatura media di 2°C comporterebbe una riduzione del 51% dell’areale globale di coltivazione della vite.
Appare quindi palese la necessità di mettere in atto, oggi, strategie di adattamento che permettano di preservare il valore ambientale, economico e socioculturale di queste produzioni.
I vitigni resistenti
La pianta della vite è particolarmente suscettibile a diversi patogeni, sia di tipo virale sia di tipo micotico, oltreché vittima di diverse parassitosi.
Sono tristemente noti la peronospora e l’oidio, patogeni apparsi in Europa intorno alla metà del XIX secolo che danneggiarono pesantemente la viticoltura europea e, ancora oggi, sono tra le maggiori minacce fitosanitarie per il vigneto globale.
Per contrastarli si impiegarono – e si impiegano tutt’oggi – importanti trattamenti fitosanitari. La lotta chimica, tuttavia, non costituisce una soluzione definitiva, né di lungo periodo.
Il cambiamento climatico, infatti, sta generando condizioni ambientali favorevoli alla diffusione dei patogeni, nonché degli insetti vettori: di conseguenza, sono attesi incrementi dell’incidenza delle patologie della vite nella maggior parte delle aree vitivinicole globali [2].
Per questo motivo e per contenere gli impatti negativi delle attività antropiche, il progresso scientifico sta esplorando nuove strade, come la selezione di varietà più resistenti alle malattie e meno esigenti dal punto di vista del consumo di risorse.
Nello stesso periodo in cui oidio e peronospora iniziarono a minacciare la viticoltura europea, apparve anche la fillossera, un insetto fitofago originario dell’America settentrionale, il cui impatto fu ancora più devastante dei due patogeni.
In questo caso, tuttavia, la risposta fu trovata nella selezione delle prime varietà resistenti.
Dato che la fillossera attacca l’apparato radicale della Vitis vinifera, la vite europea, e le parti aeree delle viti americane, si adottò rapidamente l’uso di portainnesti di viti americane su cui innestare le varietà europee.
Ad oggi, infatti, solo pochissimi impianti localizzati in aree inospitali per la fillossera (fondi sabbiosi o altitudini elevate) rimangono a piede franco, ossia conservano gli apparati radicali originari delle rispettive varietà non ibridate.
Nell’ultimo secolo, le tecniche di selezione e ibridazione hanno fatto importanti progressi e, ancor più negli ultimi decenni, hanno permesso la selezione di un numero crescente di vitigni resistenti alle fitopatologie fungine, generalmente frutti di incroci tra viti europee e viti americane o asiatiche.
I punti di forza dei vitigni resistenti
La selezione di vitigni resistenti è oggi considerata una delle principali opportunità tecnologiche a disposizione della viticoltura, uno strumento di grande interesse per migliorare la sostenibilità delle produzioni e accompagnare l’adattamento del settore alle emergenti sfide agroambientali.
Il vantaggio primario dei vitigni resistenti è, per l’appunto, la maggiore resistenza alle fitopatie che tradizionalmente colpiscono la vite europea.
Come riportato sopra, tale resistenza è ottenuta attraverso incroci tra diverse varietà di vite, così da ottenere nuove specie figlie capaci di conservare le caratteristiche di qualità del prodotto e al contempo molto meno soggette alle malattie.
La maggiore resistenza della pianta determina una ridotta necessità di trattamenti fitosanitari, da cui conseguono in maniera diretta e indiretta tutti gli altri punti di forza di queste varietà.
In primo luogo, la riduzione dei trattamenti determina un evidente risparmio dei costi di produzione.
Oltre alla riduzione degli input agrochimici necessari a garantire la salute della pianta, quindi la sua produttività, la minore necessità di trattamenti e di interventi in campo permette un risparmio dei tempi e dei costi per l’esecuzione delle stesse: è chiaro quindi che i vitigni resistenti supportano la razionalizzazione delle operazioni e la riduzione dei costi di produzione.
In secondo luogo, il contesto ambientale trae beneficio diretto dalle minori applicazioni di prodotti fitosanitari.
Tra le principali colture specializzate europee, la viticoltura è una delle più esigenti in termini di input chimici [3], con evidenti conseguenze sulla biodiversità locale e sulla qualità dei suoli e delle acque, oltre a favorire lo sviluppo di resistenze da parte dei patogeni stessi.
Ridurre i trattamenti vuol dire anche preservare l’ecosistema da cui la stessa attività agricola dipende, elemento centrale delle strategie europee per l’agricoltura e la biodiversità.
Inoltre, i vitigni resistenti sono compatibili con i principi e le prescrizioni normative dell’agricoltura biologica, per la quale possono rappresentare un asset di particolare interesse.
Infine, anche i consumatori possono trarre beneficio da una più ampia diffusione delle varietà resistenti, grazie alla garanzia di prodotti maggiormente rispettosi dell’ambiente e della loro salute.
Una debolezza dei vitigni resistenti
Rimangono tuttavia alcuni ostacoli applicativi e fattuali che rallentano la diffusione di queste interessanti varietà.
Occorre innanzitutto favorire la familiarizzazione dei consumatori, per i quali i Cabernet Sauvignon o Sauvignon Blanc delle zone vitivinicole di pregio sono oggi più attraenti dei pressoché sconosciuti Satin Noir o Sauvignac, sebbene questi riproducano in maniera non dissimile le caratteristiche organolettiche delle varietà originarie.
In relazione a questo aspetto, con le novità introdotte dal Regolamento UE 2021/2117, i disciplinari di produzione dei vini con indicazioni geografiche e denominazioni d’origine andrebbero aggiornati per autorizzare l’impiego di vitigni resistenti pur preservando le caratteristiche qualitative, organolettiche e identitarie dei vini.
Più in generale, l’estensione dell’impiego dei nomi e dei sistemi di tutela dei vini tradizionali ai vini da varietà resistenti è una questione particolarmente delicata, che rischia di alterare gli equilibri di concorrenza tra produttori e tra settori nazionali, pertanto è auspicabile un serio dibattito che coinvolga produttori, esperti in agrifood e legislatori [4].
Conclusioni
Nonostante le criticità ancora da risolvere, l’adozione di vitigni resistenti è certamente una delle più promettenti e interessanti opportunità per rendere la viticoltura più sostenibile e favorirne l’adattamento davanti all’estremizzazione dei fenomeni climatici.
Gli indubbi vantaggi economici e ambientali andrebbero valutati senza pregiudizi, pur nel rispetto dell’identità e della tradizione di un prodotto, quale è il vino, estremamente intrecciato con la nostra cultura e la nostra storia, ma che deve necessariamente guardare al futuro.
Speriamo che tu abbia trovato la lettura di questo articolo sulle caratteristiche dei vitigni resistenti interessante. Per altri contenuti simili, consulta la sezione Produzione del nostro sito web. E se vuoi restare sempre al passo con le ultime novità in fatto di Agrifood, iscriviti alla nostra Newsletter!
[1] Morales-Castilla, I., García de Cortázar-Atauri, I., Cook, B. I., Lacombe, T., Parker, A., Van Leeuwen, C., Nicholas, K. A., & Wolkovich, E. M. (2020). Diversity buffers winegrowing regions from climate change losses. Proceedings of the National Academy of Sciences, 117(6), 2864-2869.
[2] Rienth, M., Vigneron, N., Walker, R. P., Castellarin, S. D., Sweetman, C., Burbidge, C. A., Bonghi, C., Famiani, F., & Darriet, P. (2021). Modifications of grapevine berry composition induced by main viral and fungal pathogens in a climate change scenario. Frontiers in Plant Science, 12.
[3] Chen, Y., Herrera, R. A., Benitez, E., Hoffmann, C., Möth, S., Paredes, D., Plaas, E., Popescu, D., Rascher, S., Rusch, A., Sandor, M., Tolle, P., Willemen, L., Winter, S., & Schwarz, N. (2022). Winegrowers’ decision-making: A pan-European perspective on pesticide use and inter-row management. Journal of Rural Studies, 94, 37-53.
[4] Marín, D., Armengol, J., Carbonell‐Bejerano, P., Escalona, J. M., Gramaje, D., Hernández‐Montes, E., Intriglio, D.S., Martínez-Zapater, J.M., Medrano, H., Mirás-Avalos, J.M., Palomares-Rius, J.E., Romero-Azorín, P., Savé, R., Santesteban, L.G., & De Herralde, F. (2021). Challenges of viticulture adaptation to global change: Tackling the issue from the roots. Australian Journal of Grape and Wine Research, 27(1), 8-25.
Matteo Carzedda
Matteo Carzedda è ricercatore in economia agraria presso l’Università di Trieste. Dopo la laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche, ha conseguito un master in Development Economics and International Cooperation all’Università di Roma Tor Vergata, per poi proseguire con il dottorato di ricerca all’Università di Udine.