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Le microplastiche
Tra i contaminanti emergenti del XXI secolo, le microplastiche occupano una posizione di rilievo tra gli interessi della comunità scientifica data la loro ampia diffusione nelle matrici ambientali.
Definite come particelle plastiche minori di 5 mm, le microplastiche sono prodotte e rilasciate nell’ambiente da una moltitudine di sorgenti antropiche e la loro identificazione rappresenta una delle sfide più interessanti per i ricercatori del settore.
La più recente letteratura scientifica riporta che sono le attività umane a contribuire significativamente al rilascio di microplastiche nell’ambiente, soprattutto in quello marino [1].
I dati disponibili indicano che, ogni anno, fino a 12,7 milioni di tonnellate di plastica raggiungono gli ecosistemi marini e i successivi fenomeni di degradazione (degradazione meccanica, esposizione alla radiazione UV, venti) determinano la progressiva riduzione delle dimensioni dei detriti plastici in frammenti di dimensioni comprese tra i 5 mm e 1 nm [2].
Tuttavia, le microplastiche immesse nelle matrici ambientali possono derivare “direttamente” da attività antropiche.
Le sorgenti antropiche
Gli scarichi domestici, cosmetici e prodotti per la pulizia e le materie prime per la produzione degli stessi, le operazioni di lavaggio di indumenti, gli pneumatici e l’uso di vernici nel settore edile sono tra le principali sorgenti di microplastiche.
Ad esempio, ogni volta che laviamo un indumento in una lavatrice domestica, possiamo – potenzialmente – determinare il rilascio di 1.900 fibre. Un numero spaventoso.
Anche le vernici, ampiamente utilizzate nel settore edile, contribuiscono alla contaminazione delle acque, rilasciando fino a 80.000 tonnellate di microplastiche [3].
Secondo l’Organizzazione delle Nazione Unite (ONU), nel mare ci sono fino a 51 mila miliardi di microplastiche (Fig.1), un numero che supera di 500 volte il numero di particelle microplastiche presenti nella nostra galassia.
Diffondendosi rapidamente nell’ecosistema marino e data la loro persistenza, l’ingresso e il conseguente impatto sulla catena trofica è inevitabile.
La plastica è stata progettata per durare.
Le microplastiche che si generano necessitano di 450 anni per distruggersi (o più correttamente, per decomporsi).
Secondo alcuni ricercatori, il primo pezzo di plastica mai prodotto è ancora presente sul nostro pianeta.
Microplastiche nel mare: pesci e sale gli alimenti a rischio
Come suggerito da evidenze scientifiche, le acque marine sono contaminate da microplastiche, probabilmente in maniera irreversibile.
Operazioni di bonifica sono infatti rese complesse dai continui apporti di microplastiche dovuti al vento, correnti e onde [4], oltre che dalle attività antropiche che non mostrano alcun segno di cedimento.
Di conseguenza, gli alimenti che “si originano” dal mare sono contaminati da microplastiche.
Queste particelle plastiche piccolissime, infatti, sono spesso, equivocate per prede dai pesci, che finiscono per inghiottirle.
Mediamente, senza distinzione di specie e provenienza, le specie di pesci destinate al consumo umano presentano 0,72 microplastiche per individuo [5].
E insieme con i pesci, tra gli alimenti “incriminati” c’è il sale marino.
Consideriamo, senza presunzione di completezza, come viene prodotto il sale marino.
Brevemente, gli effetti combinati del vento e della luce del sole permettono la sua produzione, grazie al fenomeno della cristallizzazione.
Durante il processo, l’acqua circola lungo diversi stagni dove la concentrazione di sale aumenta progressivamente, a causa dell’evaporazione dell’acqua.
In questo modo, gli inquinanti che “galleggiano” nell’acqua marina, si trasferiscono nel sale.
Ed è così che, potenzialmente, la pasta che condiamo con un bel pizzico di sale, sarà condita anche da qualche microplastica.
Gli attuali dati disponibili rivelano che un chilogrammo di sale marino presenta più di 1.600 microplastiche, prevalentemente fibre in polipropilene e polietilene, derivanti dal processo produttivo e non dal packaging.
Stando alle informazioni scientifiche, quest’ultimo non sembrerebbe contribuire al fenomeno di contaminazione (quanto meno, nel caso del sale) [6].
Uomo, cibo e microplastiche: quali sono gli impatti sulla salute
Sarebbe dunque corretto affermare che stiamo mangiando plastica?
Purtroppo per noi, ingerire microplastiche sembra inevitabile [7].
La principale via di esposizione per l’uomo alle microplastiche è proprio l’alimentazione e il vettore è l’alimento, un carrier che consente loro di entrare nel nostro organismo (Fig.2).
Consideriamo il caso del sale marino: i dati scientifici suggeriscono che è possibile rinvenire una contaminazione da microplastiche, in media, compresa tra 0 e 2×104 detriti per chilogrammo di sale.
Dunque, supponendo un consumo medio di sale pari a 10 g al giorno pro capite, l’assunzione potenziale media è compresa tra 0 e 200 microplastiche al giorno, che corrispondono a 0 – 7.3×104 microplastiche per anno [8].
Dato per assodato che l’uomo è esposto alle microplastiche attraverso gli alimenti, un quesito coerente è: quanto sono dannose per noi?
Una volta ingerite mediante il cibo, le microplastiche potrebbero essere adsorbite da alcune cellule specializzate dell’intestino e, conseguentemente, date le loro piccole dimensioni, adsorbite dalla mucosa. L’importante area delle microplastiche sembrerebbe determinare fenomeni di stress ossidativo e citotossicità.
La comunità scientifica ipotizza, inoltre, potenziali fenomeni di traslocazione delle microplastiche da un tessuto a un altro e, la difficoltà nella loro espulsione dall’organismo, potrebbe determinare l’insorgenza di infiammazioni croniche, talvolta prodromiche al cancro (Fig.3) [9].
Per di più, le microplastiche adsorbono altri contaminanti duranti i loro viaggi tra e nei compartimenti ambientali. Idrocarburi policiclici aromatici, metalli pesanti e policlorobifenili vengono adsorbiti e poi rilasciati nell’organismo.
Inoltre, la lisciviazione dei monomeri e additivi plastici (nello specifico, gli esteri dell’acido ftalico) sono responsabili di disturbi endocrini e possono causare carcinogenesi [10].
Tuttavia, il meccanismo di azione e l’espressione della loro tossicità è ancora poco investigata e sono necessari studi ulteriori per avere un quadro completo.
Problematiche analitiche per la determinazione delle microplastiche
L’eterogeneità delle microplastiche in termini di dimensione, natura chimica e morfologia complica significativamente la loro determinazione.
Nel caso degli alimenti, la preparazione e il pre-trattamento del campione mediante tecniche digestive per la rimozione della materia organica è lo step fondamentale per l’analisi chimica delle microplastiche [11].
Il loro isolamento su filtri, infatti, è necessario per la loro quali-quantificazione.
Tuttavia, ad oggi, non è disponibile un metodo standard per la loro analisi.
Come conseguenza, gruppi di ricerca diversi utilizzano protocolli differenti, rendendo complesso e poco immediato il confronto dei risultati [12].
Diverse sono le tecniche analitiche che bene si prestano per la determinazione della natura chimica delle microplastiche, più precisamente tecniche spettroscopiche e cromatografiche.
Negli ultimi anni, l’uso della gas cromatografia-spettrometria di massa accoppiata alla pirolisi sembra essere un’opportuna soluzione alle problematiche analitiche, relegate principalmente alle imprecisioni nella quantificazione.
Attualmente, la quantificazione viene svolta mediante conta su filtro, ma gli errori sono dietro l’angolo. Sovrastime e sottostime, infatti, sono pressoché inevitabili, dato che la conta è svolta manualmente da un operatore, determinando poi incongruenze nei risultati [13].
Conclusioni
La tutela della nostra salute passa, inevitabilmente, dalla tutela del nostro pianeta. Ridurre l’utilizzo della plastica e una gestione appropriata dei rifiuti plastici è forse l’obiettivo più importante che dovremmo raggiungere.
Speriamo che tu abbia trovato la lettura di questo articolo sulle microplastiche negli alimenti che derivano dal mare interessante. Per altri contenuti simili, consulta la sezione Blog del nostro sito web. E se vuoi restare sempre al passo con le ultime novità in fatto di Agrifood, iscriviti alla nostra Newsletter!
[1] Li, W.; Li, X.; Tong, J.; Xiong, W.; Zhu, Z.; Gao, X.; Li, S.; Jia, M.; Yang, Z.; Liang, J. Effects of environmental and anthropogenic factors on the distribution and abundance of microplastics in freshwater ecosystems. Science of Total Environment, 2023.
[2] Eriksen, M.; Lebreton, L.C.M.; Carson, H.S.; Thiel, M.; Moore, C.J.; Borerro, J.C.; Galgani, F.; Ryan, P.G.; Reisser, J.; Plastic pollution in the world’s oceans: more than 5 trillion plastic pieces weighing over 250,000 tons Afloat at sea. PloS One 9, 2014.
[3] Vivekanand, A.C.; Mohapatra, S.; Tyagi, V.K. Microplastics in aquatic environment: Challenges and prospective. Chemosphere, 2021.
[4] Trani, A.; Mezzapesa, G.; Piscitelli, L.; Mondelli, D.; Nardelli, L.; Belmonte, G.; Toso, A.; Piraino, S.; Panti, C.; Baini, M.; Fossi, M.C.; Zuccaro, M. Microplastics in water surface and in the gastrointestinal tract of target marine organisms in Salento coastal seas (Italy, Southern Puglia). Environmental Pollution, 2023.
[5] Thiele, C.J.; Hudson, M. D.; Russell, A.E.; Saluveer, M.; Sidaoui-Haddad, G. Microplastics in fish and fishmeal: an emerging environmental challenge? Scientific Reports, 2021.
[6] Di Fiore, C.; Sammartino, M.P.; Giannattasio, C.; Avino, P. Microplastic contamination in commercial salt: An issue for their sampling and quantification. Food Chemistry, 2023.
[7] Braun, T.; Ehrlich, L.; Henrich, W.; Koeppel, S.; Lomako, I.; Schwabl, P.; Liebmann, B. Detection of microplastic in human placenta and meconium in a clinical setting. Pharmaceutics, 2021.
[8] Zhang, Q.; Xu, E.G.; Li, J.; Chen, Q.; Ma, L.; Zeng, E.Y.; Shi, H. A review of microplastics in table salt, drinking water and air: direct human exposure. Environmental Science and Technology, 2020.
[9] Prata, J.C.; da Costa, J.P.; Lopes, I.; Duarte, A.C.; Rocha-Santos, T. Environmental exposure to microplastics: an overview on possible human health effects. Science of Total Environment, 2019.
[10] Anbumani, S.; Kakkar, P. Ecotoxicological effects of microplastics on biota: a review. Environmental Science and Pollution Research, 2018.
[11] Bianchi, J.; Valente, T.; Scacco, U.; Cimmaruta, R.; Sbrana, A.; Silvestri, C.; Matiddi, M. Food preference determines the best suitable digestion protocol for analysing microplastic ingestion by fish. Marine Pollution Bulletin, 2020.
[12] Thiele, C.J.; Hudson, M.D.; Russell, A.E. Evaluation of existing methods to extract microplastics from bivalve tissue: Adapted KOH digestion protocol improves filtration at single-digit pore size. Marine Pollution Bulletin, 2019.
[13] Karami, A.; Golieskardi, A.; Choo, C.K.; Romano, N.; Ho, Y.B.; Salamatinia, B. A high-performance protocol for extraction of microplastics in fish. Science of Total Environment, 2017.
Cristina Di Fiore
Ha conseguito la Laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie Alimentari nel 2020 l’Università degli Studi del Molise a Campobasso. Sta svolgendo il PhD in Tecnologie e Biotecnologie Agrarie presso l'Università del Molise, con un progetto sulla determinazione delle microplastiche nelle matrici alimentari. Ha trascorso sei mesi all'Imperial College London di Londra nell'Environmental Research Group – School of Public Health per acquisire nuove conoscenze nel campo di ricerca delle microplastiche.
Pasquale Avino
Ha conseguito la Laurea in Chimica nel 1992 e il Dottorato in Scienze Chimiche nel 1997, Università di Roma La Sapienza. Ha trascorso un anno come Post-Doc Researcher presso l'Università della California, Irvine, USA, nel gruppo Rowland-Blake. Attualmente è Professore Associato presso il Dipartimento di Agricoltura, Ambiente e Alimenti dell'Università degli Studi del Molise a Campobasso. Ha ricevuto il premio NASA, il National Sapio Award e la medaglia d’oro della Moldovan Chemical Society.