Un pericolo di origine alimentare è definito dalla Codex Alimentarius Commission come un “agente biologico, chimico o fisico o la capacità di un cibo di provocare un effetto negativo sulla salute” [3]. Nel 2013 l’8,5% delle epidemie di origine alimentare in Europa sono state associate a prodotti ittici, mentre i crostacei, i molluschi e i loro derivati hanno rappresentato il 7,3% [11]. Questo è in linea con quanto suggerito da Huss et al., [1] cioè che fino al 10% delle epidemie di origine alimentare, registrate in un determinato anno, sono legate al consumo di prodotti ittici.
Sebbene agenti patogeni come Listeria monocytogenes, Clostridium botulinum di tipo E, Vibrio spp., Aeromonas spp. e i batteri e virus fecali possano contaminare il pesce, causando malattie umane [4], la maggior parte dei focolai di origine marina sono associati ad ammine biogeniche [6].
La sindrome sgombroide
Le intossicazioni da sgombroidi [10] sono state descritte in ogni parte del mondo; tuttavia la loro frequenza raggiunge i massimi livelli soprattutto nei Paesi dove il pesce rappresenta uno degli alimenti base dell’alimentazione quotidiana. I pesci responsabili di questo avvelenamento appartengono alle famiglie Scombridae e Scomberascidae (tonno, maccarello, sgombro, sarde, alici) Clupeidae, Engraulidae, Coriphaenidae e Pomatomidae. Sono tutti pesci che normalmente contengono nelle loro carni grandi quantità di istidina libera, precursore del principio attivo causa dell’avvelenamento (Fig. 1 e 2).
La sostanza tossica che dà origine a questa sindrome non è una sostanza solitamente presente nel pesce, anche se, in certe stagioni dell’anno, si può trovare in piccole quantità nei tessuti (formatesi dopo la pesca, durante il periodo di conservazione quando la temperatura è abbastanza elevata). Questa deriva dalla decarbossilazione dell’istidina (amminoacido molto presente nei pesci a carne rossa) ad opera di particolari microrganismi che generano sostanze ad azione istaminoasimile (un tempo denominate “saurine” e oggi identificate, invece, come istamina).
Gli studi effettuati su vari microrganismi isolati nei pesci per controllare la loro capacità di decarbossilare l’istidina hanno messo in luce come non ci siano molte specie microbiche in grado di operare questa trasformazione e come le più attive e più spesso coinvolte in questo processo siano, senza dubbio, il Proteus morganii, l’Escherichia coli, il Klebsiella spp, ma anche lo Pseudomonas aeruginosa.
Condizione indispensabile per la produzione di istamina è che l’istidina si presenti in forma libera e non coniugata con altre proteine. È stato stabilito che:
- per le intossicazioni di lieve gravità è sufficiente l’ingestione di 8-10 mg di istamina;
- per le intossicazioni di media intensità è sufficiente l’ingestione di 70-1.000 mg di istamina;
- per le intossicazioni gravi è invece necessaria l’ingestione di 4.000 mg di istamina.
Effetti sulla salute dei consumatori
Nell’uomo l’intossicazione da istamina è caratterizzata dalla comparsa, generalmente molto rapida (pochi minuti o al massimo poche ore dal consumo dell’alimento) dei seguenti sintomi: cefalea, secchezza della bocca, vomito, diarrea, dolori addominali, eritema diffuso, iperemia congiuntivale, broncospasmo, arresto cardiocircolatorio.
La morte per shock anafilattico può sopraggiungere in 8-24 ore (Fig. 3).
Prevenzione della sindrome sgombroide
Per la produzione di istamina è fondamentale la presenza di batteri che sintetizzino l’enzima responsabile della trasformazione di istidina (normalmente presente nei pesci) in istamina dopo la morte del pesce stesso. Questi batteri possono essere ceppi abituali della flora intestinale e possono essere presenti nell’ambiente esterno e contaminare i prodotti anche dopo la pesca, durante tutte le fasi della produzione dell’alimento e, sicuramente, anche in quelle di stoccaggio, distribuzione e somministrazione.
Una delle precauzioni fondamentali da prendere per evitare l’insorgere della sindrome sgombroide è, quindi, la pulizia dei locali e delle attrezzature durante tutte le fasi di lavorazione, compresa anche la somministrazione e la refrigerazione immediata del pesce pescato (al fine di preservare la catena del freddo). Una volta pescato, il pesce va quindi immediatamente congelato o immerso in acqua fredda a -1°C e mantenuto continuamente a bassa temperatura.
Il quadro normativo e la gestione del rischio
Diventa essenziale applicare opportunamente le direttive espresse dal legislatore e fornire una conoscenza adeguata dei rischi associati a questo parassita, non solo agli operatori di settore ma anche al consumatore.
Il Regolamento (CE) 853/04 [5], stabilisce che: “Gli operatori del settore alimentare (OSA) devono assicurare che i prodotti della pesca siano sottoposti ad un controllo visivo alla ricerca di endoparassiti prima dell’immissione sul mercato. Gli operatori non devono immettere sul mercato prodotti manifestamente invasi da parassiti”, in applicazione anche del Regolamento (CE) 2074/2005.
Il ministero della salute, con la nota 4380 del 17/02/2011 [8], pone chiarimenti circa l’applicazione dell’art. 5 della legge 283 del 1962 in caso di riscontro di Anisakis nei prodotti della pesca, che prevede l’l’ipotesi contravvenzionale OSA che impieghi nella preparazione di alimenti e bevande, venda, detenga per vendere o somministri sostanze alimentari che siano tra l’altro invase da parassiti o, comunque, nocive.
Inoltre, con la nota 4379 del 17/02/2011 [9], il Ministero della Salute fornisce chiarimenti concernenti alcuni aspetti applicativi del Reg (CE) 853/04 in materia di vendita e somministrazione di preparazioni gastronomiche contenenti prodotti della pesca destinati ad essere consumati crudi o praticamente crudi per i quali impone impone: “i prodotti ittici di seguito precisati devono essere congelati ad una temperatura non superiore ai 20°C in ogni parte della massa per almeno 24 ore e che tale trattamento verrà indicato come bonifica preventiva e dovrà essere effettuato sul prodotto crudo o sul prodotto finito”:
a) I prodotti della pesca che vanno consumati crudi o praticamente crudi.
b) I prodotti della pesca se devono essere sottoposti ad un trattamento di affumicatura a freddo con temperatura all’interno del prodotto che non superi i 60°C.
c) I prodotti della pesca marinati e/o salati, se il trattamento praticato non garantisce la distruzione delle larve dei nematodi.
Il Reg (CE) 853/04, cosi come modificato dal (CE) 1020/08 [7], prevede che, anche alla vendita al dettaglio, vengano rispettati alcuni requisiti, tra i quali la prescrizione relativa l’obbligo del congelamento per i prodotti ittici destinati ad essere consumati crudi o quasi e quello concernente l’esame visivo per la ricerca dei parassiti. Il Reg (CE) 178/02[2] fornisce la definizione di vendita al dettaglio, includendo anche gli esercizi di ristorazione.
[1] Huss HH, Reilly A and Ben Embarek PK, 2000. Prevention and control of hazards in seafood. Food Control, 11, 149–156.
[2] REGOLAMENTO (CE) N. 178/2002 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 28 gennaio 2002 che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare.
[3] CAC/RCP 1-1969, Rev.4- 2003 Recommended Interantional Code of Practice General Principles of Food Hygiene.
[4] Croci L, Suffredini E. (2003), Rischio microbiologico associato al consumo di prodotti ittici. Ann Ist Super Sanità, 39(1):35-45.
[5] REGOLAMENTO (CE) N. 853/2004 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 29 aprile 2004 che stabilisce norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale.
[6] Dalgaard P, Madsen HL, Samieian N and Emborg J, 2006. Biogenic amine formation and microbial spoilage in chilled garfish (Belone belone belone) – effect of modified atmosphere packaging and previous frozen storage. Journal of Applied Microbiology, 101, 80–95.
[7] REGOLAMENTO (CE) N. 1020/2008 DELLA COMMISSIONE del 17 ottobre 2008 che modifica gli allegati II e III del regolamento (CE) n. 853/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale e il Reg. (CE) n. 2076/2005 per quanto riguarda la marchiatura d’identificazione, il latte crudo e i prodotti lattiero-caseari, le uova e gli ovoprodotti e taluni prodotti della pesca.
[8] Nota Ministero della Salute n. 4380 del 17/02/2011 Aart. 5 della Llegge n. 283/1962: Presenza di Anisakis.
[9] Nota Ministero della Salute n. 4379-P del 17/02/2011: Chiarimenti concernenti alcuni aspetti applicativi del Reg. 853/2004 in materia di vendita e somministrazione di preparazioni gastronomiche contenenti prodotti della pesca destinati ad essere consumati crudi o praticamente crudi.
[10] Lampila LE and McMillin KW, 2012. Major microbial hazards associated with packaged seafood. In: Advances in Meat, Poultry and Seafood Packaging. Ed Kerry JP, Woodhead Publishing in Food Science Technology and Nutrition, 59–85.
[11] EFSA and ECDC (European Food Safety Authority and European Centre for Disease Prevention and Control), 2015. The European Union summary report on trends and sources of zoonoses, zoonotic agents and food-borne outbreaks in 2013. EFSA Journal 2015;13(1): 3991, 162 pp. doi: 10.2903/j.efsa.2015.3991.
Maria Doto
Laureata in Scienze e Tecnologie Alimentari presso l’Università degli Studi di Foggia.
Buona conoscenza sulle tematiche di sicurezza alimentare trasferibili al consumatore tramite il consumo di questi prodotti e sulle contaminazioni di natura chimica in grado di nuocere al consumatore.