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Dalle produzioni in campo alle importazioni
Come tutte le attività umane, anche la filiera agroalimentare italiana ha subito gli effetti della pandemia. La situazione è stata monitorata da ISTAT e ISMEA che, producendo una serie di interessanti report, ci aiutano a capire che cosa è successo nel 2020 nel rapporto Covid-19 e cibo.
Dal punto di vista delle produzioni e della raccolta delle materie prime, l’agricoltura italiana ha subito complessivamente una calo di produzione (-3,3%) e di valore aggiunto (-6,1%) [1]. Guardando nello specifico agli aggregati vegetale e zootecnico, e comparandoli con quanto avvenuto nel 2019, emerge un quadro piuttosto variegato.
La produzione vegetale nel suo complesso si è ridotta in volume del 2,4% e in valore dello 0,5 %, con una variazione di prezzo positiva (+1,9%). In generale, tutti gli aggregati (ad eccezione delle patate, + 5,2%) hanno registrato un calo sensibile, soprattutto per quanto riguarda la produzione di fiori e piante (- 8%) e oli d’oliva (-18%).
La ragione di questa riduzione generale è da ricercarsi prevalentemente nell’andamento meteorologico, che non è stato particolarmente favorevole alle produzioni di pieno campo.
Dal punto di vista della manodopera, la chiusura dei confini e la riduzione della mobilità hanno in un primo momento creato qualche problema organizzativo, che tuttavia non si è ripercosso pesantemente su questo tipo di produzioni.
Mobilità e chiusura delle frontiere hanno invece creato non pochi problemi al comparto zootecnico: sebbene, nel suo complesso, la produzione abbia registrato una variazione in volume positiva (+0,3%), la variazione di prezzo e di valore ha segnato un -2,6% e -2,3%, rispettivamente.
Questo perché la componente “prodotti zootecnici” ha registrato un aumento di volume del +2% e una variazione di valore del +1,3%. Di contro, la componente “bestiame” ha subito una contrazione di -0,8% in volume, e del -4,7% in variazione di valore rispetto all’anno precedente.
Per quanto riguarda le importazioni di cibo, l’adozione delle misure di contenimento per ridurre la diffusione della pandemia ha determinato una ovvia riduzione degli scambi internazionali.
L’Italia da questo punto di vista non è stata esente dagli effetti negativi di tali provvedimenti ma, nonostante tutto, rispetto al primo semestre del 2019 l’export di prodotti agricoli ha registrato un aumento dell’1,7%, mentre l’import ha registrato un calo del 3,4% [2] portando la bilancia commerciale in positivo, con un surplus di 3 miliardi.
L’andamento dell’industria agroalimentare in Italia
L’industria agroalimentare italiana ha registrato negli ultimi anni un trend particolarmente positivo, soprattutto per il suo spiccato dinamismo e per la continua espansione dei mercati esteri (e quindi delle nostre esportazioni).
La pandemia ha mostrato i suoi effetti a partire dal mese di aprile/maggio che sono stati poi in qualche modo assorbiti dalle buone prestazioni dell’export nei mesi successivi.
Secondo quanto riportato da ISMEA e Federalimentare, i primi 6 mesi del 2020 hanno fatto registrare una crescita dell’export del 3,5% su base annua [2].
Tutto bene dunque? Non proprio.
La pandemia ha messo in luce una serie di aspetti problematici legati all’organizzazione della filiera, dal conferimento delle materie prime fino alla allocazione dei prodotti ai consumatori.
Da un punto di vista generale, la catena del valore del nostro comparto agroalimentare si basa su una strutturale dipendenza dall’estero per i fattori di produzione, da un eccessivo numero di operatori lungo tutta la filiera, fino a forti asimmetrie dovute al diverso potere contrattuale degli operatori coinvolti e da una generale bassa competitività [3].
Inoltre, secondo l’indicatore sintetico proposto da ISMEA per la valutazione della robustezza e capacità di reazione del sistema produttivo, ben il 21% delle aziende campionate evidenzia un alto livello di vulnerabilità e che potrà essere colpito pesantemente dalla pandemia (tra questi soprattutto il comparto dell’olio dio oliva e i birrifici) [3].
Dal punto di vista organizzativo, le disposizioni ministeriali in termini di distanziamento sociale e pratiche di sanificazione degli ambienti hanno comportato un rallentamento delle operazioni di conferimento, aumentando i tempi di attesa, carico e scaro delle derrate. Anche nelle operazioni di trasformazione, sono stati riportati numerosi esempi di criticità. Dunque è ormai noto quanto il Covid-19 abbia influito sulla produzione del cibo.
Un esempio su tutti è quanto successo nella filiera delle carni, dove l’elevata vicinanza degli operatori e le condizioni generali di lavoro hanno in qualche modo favorito la diffusione della pandemia, creando non pochi problemi [4].
Da ultimo il cambio di acquirenti (riduzione Ho.Re.Ca e aumento dei consumi casalinghi) ha evidenziato come la poca flessibilità nel cambio del packaging (essendo diverso per l’acquisto al dettaglio o all’ingrosso) sia un elemento critico della filiera, poiché non favorisce una riconversione in tempi rapidi tra diversi tipi di confezionamento.
Da questi elementi emerge come questo segmento della filiera debba ripensarsi.
Alla luce di questi aspetti, Sella e Fuller [5] hanno avanzato alcune proposte per rendere l’industria agroalimentare più resistente agli shock pandemici.
I due autori propongono di perseguire innovazioni basate sulla automazione di alcuni processi e l’incremento di flessibilità della produzione per assicurare il benessere degli operatori negli impianti e la competitività delle imprese.
Queste iniziative si traducono, ad esempio, nello sviluppare nuove linee di produzione tipo sub-cell, che prevedano essenzialmente uno scambio di semilavorati evitando il più possibile contatti prolungati tra gli operatori.
Gli effetti pandemici sulla distribuzione alimentare
Analogamente a quanto è stato scritto per produzione e trasformazione, la parte finale della filiera, ovvero la distribuzione del cibo non è stata risparmiata dalla pandemia da Covid-19. Anzi, gli effetti maggiormente distorsivi si sono osservati proprio in questa fase della catena della distribuzione.
Macroscopicamente, ISMEA ha osservato che il cambio (obbligato) nel consumo degli alimenti, ha spostando dal canale Ho.Re.Ca alla spesa domestica una parte della spesa alimentare [6]. In questo cambio sono stati persi circa 21 miliardi di euro [6].
Il coprifuoco ha in qualche modo anche accelerato e consolidato processi già in parte osservati.
Per esempio, molte imprese hanno incrementato la vendita diretta (+4,7% rispetto al 2019), così come digitalizzazione e e-commerce hanno subito un forte impulso.
Dal punto di vista della scelta del canale distributivo le famiglie hanno premiato i negozi tradizionali per l’acquisto di cibo (non GDO), che hanno visto un incremento del 18,4% nei primi mesi del 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019.
Di segno positivo anche i supermercati e i discount (entrambi + 9%), mentre gli ipermercati sono l’unica categoria ad aver perso terreno (-1,1%).
In ultimo, la spesa alimentare domestica è in forte incremento. Nel periodo gennaio-settembre 2020 la spesa è cresciuta del 7% [6].
Questo non deve stupire, dato il regime di chiusura e confusione che si è creato nel comparto Ho.Re.Ca, che all’inizio della pandemia non ha potuto sostituire con efficacia il consumo di alimenti nel punto vendita con il servizio d’asporto. Dal punto di vista dei trend, alcune categorie di alimenti hanno visto crescite davvero importanti nel periodo gennaio-settembre.
Alcuni esempi interessanti si possono osservare nel comparto dei prodotti proteici di origine animale, dove le carni surgelate (+16,6%) e le uova fresche (+16,1%) hanno subito incrementi consistenti, così come i formaggi freschi (+12,4%) [6].
Tra la frutta e la verdura spicca il risultato degli agrumi (+18,5%), i prodotti a base di pomodoro (+13,8%) e le patate (+13,9%), mentre i succhi di frutta e i prodotti di IV gamma hanno visto un trend negativo (-3,4% e -6,6%, rispettivamente).
Tra i prodotti ittici, i surgelati guidano i trend positivi con un +16,5% mentre tra i derivati dei cereali spiccano i trend di farine e semole (+41,7%) e, negativamente, quello dei dolci di ricorrenza (-21,1%).
Conclusioni
La pandemia ci ha mostrato che la filiera è un ecosistema fragile, che ha bisogno di una manutenzione straordinaria. Le vie di azione sono molte. Tra queste è opportuno ripensare la lunghezza della filiera, introdurre nuove tecnologie e appropriati processi di trasformazione, considerare il ruolo della distribuzione di prossimità o a domicilio. Si aprono quindi interessanti scenari di studio: quale filiera ci assicurerà il cibo nel prossimo futuro?
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[1] Istituto Nazionale di Statistica - ISTAT, “Stima preliminare dei conti economici dell’agricoltura - Anno 2019,” 2020.
[2] Ismea, “Scambi Con L’Estero. La Bilancia Agroalimentare nazionale nel 2020,” Roma, 2019. [Online]. Available: http://www.ismeamercati.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/11345.
[3] Ismea - Federalimentare, “L’ Industria Alimentare in Italia,” 2019. [Online]. Available: http://www.ismeamercati.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/10917.
[4] M. A. Waltenburg et al., “Update: COVID-19 Among Workers in Meat and Poultry Processing Facilities ― United States, April–May 2020,” MMWR. Morb. Mortal. Wkly. Rep., vol. 69, no. 27, pp. 887–892, Jul. 2020, doi: 10.15585/mmwr.mm6927e2.
[5] A. Sella and R. Fuller, “Lessons From Italy: the Impact of COVID-19 on the Food and Beverage Industry,” 2020. https://www.duffandphelps.com/insights/publications/valuation/italy-impact-of-covid-19-on-food-beverage-industry (accessed Feb. 12, 2021).
[6] Ismea - Nielsen, “Consumi alimentari . I consumi domestici delle famiglie italiane,” Roma, 2020.
Andrea Minardi
Andrea Minardi, Phd Agrisystem, è un libero professionista che si occupa di consulenza tecnica e scientifica nel campo dello sviluppo agricolo e rurale nei Paesi in via di Sviluppo. Già collaboratore scientifico presso la facoltà di Scienze Agrarie Alimentari e Ambientali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (UCSC).