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Cos’è l’Epatite E?
Ad oggi si conoscono più di 250 tossinfezioni alimentari; principalmente causati da batteri, virus e parassiti e che si manifestano con diversi segni e sintomi.
Negli anni sono stati scoperti nuovi patogeni (i cosiddetti patogeni emergenti), alcuni dei quali diffusi anche a causa dell’aumento del commercio, della ristorazione collettiva, dei grandi allevamenti intensivi e dei viaggi [1].
Tra i patogeni emergenti ritroviamo il virus dell’epatite E (HEV), i cui casi stanno aumentando negli ultimi anni [2].
L’HEV appartiene alla famiglia Hepeviridae, genere Orthohepevirus, specie Orthohepevirus A ed è un virus a RNA epatotropico, senza involucro e a singolo filamento. Cinque degli otto genotipi di Orthohepevirus A possono infettare l’uomo [3].
I genotipi HEV-1 e HEV-2 infettano gli esseri umani causando grandi epidemie di origine idrica nei paesi in via di sviluppo e portano a gravi epatiti durante la gravidanza. Invece, i genotipi 3 e 4 possono infettare sia l’uomo che gli animali (maiali, cinghiali, cervi, mucche, capre, conigli) e sono la principale causa di epatite E nell’uomo in diversi paesi sviluppati [4-6].
L’infezione da HEV può causare epatite virale acuta, generalmente autolimitante e raramente soggetta a cronicizzazione. La malattia può avere un decorso asintomatica, o dare quadri più o meno sintomatici analoghi a quelli attribuibili alle altre forme di epatite virale con una durata di 4-6 settimane.
Tuttavia, l’epatite E può anche avere un decorso grave, con complicanze e un’elevata mortalità.
Epidemiologia e trasmissione
Nell’ultimo decennio, nell’Unione europea (UE) si sono verificati più di 21.000 casi di HEV la cui principale via di infezione è stata la trasmissione di origine alimentare. [7]
In Europa, i casi umani sono principalmente associati a HEV-3 che è il genotipo predominante in Europa e America ed è diffuso negli animali utilizzati nei prodotti alimentari come suini, cinghiali e cervi [8,9].
In Italia il Sistema Epidemiologico Integrato dell’Epatite Virale Acuta (Seieva) dal 2007 al 2018 ha registrato 16000 casi di epatite virale acuta di cui il 2% (332 casi) sono attribuiti all’epatite E [10].
Nel 2019 sono stati riportati il doppio dei casi rispetto all’anno precedente e ciò costituisce un campanello di allarme che impone un monitoraggio più attento dell’andamento della malattia nel prossimo futuro.
Il fattore di rischio principale per la diffusione del virus avviene per via indiretta mediante l’ingestione di acqua contaminata o il consumo di alimenti contaminati, soprattutto se mangiati crudi o poco cotti.
Nello specifico, diversi studi scientifici hanno dimostrato che i cibi maggiormente implicati nella trasmissione del virus dell’Epatite E, sono la carne di cinghiale (15,2%) e la carne di maiale (67,8%) consumate crude o poco cotte.
Inoltre, un altro fattore di rischio da considerare per la diffusione del virus sono i viaggi in zone endemiche (12,1%) [11].
Gestire il rischio HEV con nuove tecniche analitiche
La maggiore difficoltà nel gestire il rischio zoonotico sostenuto da HEV è dovuto al fatto che la famiglia dei suidae, ritenuta serbatoio del virus, risulta asintomatica e non esistono norme comunitarie o nazionali che prevedano la sorveglianza sanitaria per HEV.
La mancanza di regolamenti comunitari che considerano la ricerca dei virus nella produzione primaria di carne e in particolare di HEV, è da ricercare nella mancanza di metodologie diagnostiche standardizzate e universalmente riconosciute.
La ricerca di HEV, pur potendo utilizzare linee cellulari competenti per la diagnosi di particelle virali infettive in grado di evidenziare l’effetto citopatico, richiede tempi lunghi di analisi (da 16 a 28 giorni) non compatibili con i tempi di macellazione e commercializzazione o ispettivi della selvaggina cacciata.
Finora la tecnica RT-qPCR è considerata il metodo “gold standard” per la ricerca di virus a trasmissione alimentare, caratterizzata dall’alta specificità, sensibilità e da brevi tempi di risposta (poche ore).
Di contro, tale metodo diagnostico, basandosi sulla rilevazione esclusivamente dell’acido nucleico virale, è incapace di discriminare tra un alimento potenzialmente pericoloso per la salute umana perché contenente particelle virali vive e vitali e un alimento non pericoloso per la salute pubblica perché contenente particelle virali inattivate.
Infatti, attualmente sono oggetto di studio da parte di vari ricercatori [12-18] metodiche molecolari (viability PCR) in grado di distinguere tra particelle virali infettanti e inattivate, mediante l’utilizzo di coloranti intercalanti quali PMAxx ed EMA. [15]
Il PMAxx (Fig.2) è un colorante intercalante che ha la capacità di legare la doppia elica degli acidi nucleici di batteri e virus.
Nell’ambito virologico, tale legame può avvenire solo quando il capside virale viene danneggiato; in tal modo il PMAxx penetra attraverso il capside virale, si lega all’acido nucleico e successivamente, in seguito a foto attivazione, il legame PMAxx- acido nucleico diventa un legame covalente molto stabile che impedisce la successiva fase di amplificazione dell’acido nucleico, permettendo di discriminare tra particelle virali vitali e non vitali.
Attualmente l’attenzione epidemiologica per la gestione del rischio da HEV e la sua evidenziazione è rivolta esclusivamente alla carne fresca suina e di selvaggina cacciata. Tuttavia, alcune trasformazioni delle carni suine e di cinghiale, come insaccati o carni salate potrebbero rappresentare un rischio per la salute.
Conclusioni
L’applicazione di nuove metodologie di indagine biomolecolare potrebbe risultare ottimale per una corretta valutazione del rischio, del consumatore e delle aziende produttrici. Ma non dobbiamo dimenticare che le armi migliori contro questi nemici invisibili rimane sempre la prevenzione e l’informazione del consumatore finale.
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[1] ] https://www.epicentro.iss.it/tossinfezioni/
[2] SEIEVA bollettino 3/2018 – Aggiornamento 1 semestre 2018, novembre 2018
[3] La Bella, G.; Basanisi, M.G.; Nobili, G.; Terio, V.; Suffredini, E.; La Salandra, G. First Report of Hepatitis E Virus in Shellfish in Southeast Italy. Appl. Sci. 2021, 11, 1–6, doi:10.3390/app11010043.
[4] Zhao, Y.M.; de Alba, M.; Sun, D.W.; Tiwari, B. Principles and recent applications of novel non-thermal processing technologies for the fish industry—a review. Crit. Rev. Food Sci. Nutr. 2019, 59, 728–742, doi:10.1080/10408398.2018.1495613.
[5] La Bella, G.; Basanisi, M.G.; Nobili, G.; Terio, V.; Suffredini, E.; La Salandra, G. First Report of Hepatitis E Virus in Shellfish in Southeast Italy. Appl. Sci. 2021, 11, 1–6, doi:10.3390/app11010043.
[6] Kamar, N.; Izopet, J.; Pavio, N.; Aggarwal, R.; Labrique, A.; Wedemeyer, H.; Dalton, H.R. Hepatitis E virus infection. Nat. Rev. Dis. Prim. 2017, 3, doi:10.1038/nrdp.2017.86 .
[7] Ricci, A.; Allende, A.; Bolton, D.; Chemaly, M.; Davies, R.; Fernandez Escamez, P.S.; Herman, L.; Koutsoumanis, K.; Lindqvist, R.; Nørrung, B.; et al. Public health risks associated with hepatitis E virus (HEV) as a food-borne pathogen. EFSA J. 2017, 15, doi:10.2903/j.efsa.2017.4886.
[8] Doceul, V.; Bagdassarian, E.; Demange, A.; Pavio, N. Zoonotic hepatitis E virus: Classification, animal reservoirs and transmission routes. Viruses 2016, 8, 1–24, doi:10.3390/v8100270.
[9] Montone, A.M.I.; De Sabato, L.; Suffredini, E.; Alise, M.; Zaccherini, A.; Volzone, P.; Di Maro, O.; Neola, B.; Capuano, F.; Di Bartolo, I. Occurrence of HEV-RNA in Italian Regional Pork and Wild Boar Food Products. Food Environ. Virol. 2019, 11, 420–426, doi:10.1007/s12560-019-09403-2.
[10] https://www.epicentro.iss.it/epatite/epatite-e-italia-dicembre-2018
[11] SEIEVA bollettino epidemiologico delle epatiti virali acute in Italia; numero 6 – aggiornamento 2019 del 03/2020
[12] Parshionikar, S.; Laseke, I.; Fout, G.S. Use of Propidium Monoazide in reverse transcriptase PCR To distinguish between infectious and noninfectious enteric viruses in water samples. Appl. Environ. Microbiol. 2010, 76, 4318–4326.
[13] Fuster, N.; Pintó, R.M.; Fuentes, C.; Beguiristain, N.; Bosch, A.; Guix, S. Propidium monoazide RTqPCR assays for the assessment of hepatitis A inactivation and for a better estimation of the health risk of contaminated waters. Water Res. 2016, 101, 226–232.
[14] Randazzo,W.; López-Gálvez, F.; Allende, A.; Aznar, R.; Sánchez, G. Evaluation of viability PCR performance for assessing norovirus infectivity in fresh-cut vegetables and irrigation water. Int. J. Food Microbiol. 2016, 229, 1–6.
[15] Randazzo, W.; López-Gálvez, F.; Allende, A.; Aznar, R.; Sánchez, G. Evaluation of viability PCR performance for assessing norovirus infectivity in fresh-cut vegetables and irrigation water. Int. J. Food Microbiol. 2016 229:1-6.
[16] Moreno, L.; Aznar, R.; Sánchez, G. Application of viability PCR to discriminate the infectivity of hepatitis A virus in food samples. Int. J. Food Microbiol. 2015, 201, 1–6.
[17] Terio, V.; Lorusso, P.; Mottola, A.; Buonavoglia, C.; Tantillo, G.; Bonerba, E.; Di Pinto, A. Norovirus detection in ready-to-eat salads by propidium monoazide real time RT-PCR assay. Appl. Sci. 2020, 10, 5176.
[18] Randazzo W.; Vasquez-García a.; Aznar r.; Sánchez g.; Viability RT-qPCR to Distinguish Between HEV and HAV With Intact and Altered Capsids Front. Microbiol. 2018, 9,1973
Patrizio Lorusso
Patrizio Lorusso è laureato in Biotecnologie Mediche e Medicina Molecolare. Da sempre appassionato di nutrizione, nel 2018 perfeziona le sue conoscenze nell’ambito della nutrizione conseguendo un master di II livello in nutrizione umana. Dal 2019 lavorare presso la sezione di sicurezza degli alimenti del dipartimento di medicina veterinaria dell’Università degli studi di Bari