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Cosa sono i PFAS?
I contaminanti chimici sono una numerosa classe di sostanze che possono trovarsi negli alimenti in seguito alla loro produzione, lavorazione o trasporto. A causa della tossicità di questi composti, è fondamentale monitorare e valutarne il potenziale rischio per la salute umana dovuto a una loro esposizione attraverso l’alimentazione. Tra i principali contaminanti chimici troviamo le tossine naturali, i contaminanti da processo e i contaminanti ambientali. Quest’ultimi rappresentano una vera e propria sfida in ambito di sicurezza alimentare, perché ubiquitari. Infatti, vengono rilasciati nell’aria, nell’acqua o nel suolo spesso a seguito di attività industriali o agricole [1].
Le sostanze per- e polifluoroalchiliche, più comunemente abbreviate come PFAS, fanno parte della famiglia delle sostanze organiche permanenti (persistant organic pollutants “POP”, in inglese), definite così perché difficilmente degradabili. Questo ne causa un accumulo nell’ambiente e la migrazione in siti diversi (anche lontani) dal luogo principale di contaminazione. L’acronimo PFAS fa riferimento ad un vasto gruppo di composti di sintesi, caratterizzato da una catena alchilica idrofobica di lunghezza variabile (normalmente C4-C16) che termina con un gruppo polare (es. gruppo carbossilico o gruppo solfonico). La catena alchilica può essere parzialmente o completamente fluorurata. In quest’ultimo caso, si definiscono sostanze perfluoroalchiliche [2,3]. In Fig. 1 è riportata la struttura generale.
Il legame chimico tra carbonio e fluoro è alla base di molte delle loro proprietà, come la stabilità ad elevate temperature, condizioni chimiche (reazioni acido-base, ossidazione) e biologiche (es. degradazione microbica) [4]. Queste caratteristiche hanno portato ad una loro ampia diffusione nei principali settori industriali, da quello aerospaziale e dell’automotive, fino alla produzione di materiali per la conservazione degli alimenti [5].
L’ Environmental Protection Agency Office of Water statunitense ha stimato che negli anni 2000 la produzione mondiale di sostanze precursori dei PFAS fosse tra le 5000 e 6500 tonnellate all’anno. Ad oggi non sono disponibili dati aggiornati, ma è probabile che la loro produzione non sia diminuita [6].
Oltre ad accumularsi nell’ambiente, i PFAS possono essere assorbiti attraverso la nostra pelle, l’apparato digerente e quello respiratorio dove non vengono metabolizzati e si accumulano soprattutto a livello del fegato e reni. Sono molti gli studi che hanno riportato potenziali effetti negativi a lungo termine, come epatotossicità, danni al sistema immunitario e disfunzioni ormonali. Una volta assorbiti dal nostro organismo, si stima che siano necessari dai 2 ai 5 anni per dimezzarne la quantità [7].
PFAS negli alimenti
Insieme all’acqua potabile, l’alimentazione è considerata una delle principali cause di esposizione ai PFAS nell’ uomo [7]. Infatti, la presenza dei PFAS nell’ambiente causa la contaminazione del suolo e dell’acqua utilizzati nella produzione di cibo (Fig. 2).
Sono state ipotizzate diverse vie di esposizione:
- alimenti di origine animale: ingestione di mangime, suolo e acqua contaminata da parte di animali d’allevamento;
- alimenti di origine vegetale: assorbimento dal suolo, da parte delle radici delle piante;
- trasferimento da materiali usati per il confezionamento di alimenti e durante la sua processazione (es. imballaggi impermeabili ad olii ed acqua);
- deposizione per via atmosferica.
Secondo il recente parere scientifico pubblicato nel 2020 dall’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (European Food Safety Authority, EFSA), le categorie di alimenti più a rischio per l’esposizione ai PFAS sono il pesce, la frutta, le uova e prodotti a base di uova. L’EFSA ha inoltre stabilito una nuova dose settimanale tollerabile di 4,4 nanogrammi per chilogrammo di peso corporeo. Questo valore fa riferimento alla somma di 4 PFAS principali, che sembrano contribuire maggiormente ai livelli riscontrati nell’ uomo: l’acido perfluoroottanoico (PFOA), l’acido perfluoroottansolfonico (PFOS), l’acido perfluorononanoico (PFNA) e l’acido perfluoroesano sulfonico (PFHxS) [7]. La Commissione Europea ha fissato i tenori massimi consentiti di tali sostanze in alcune categorie alimentari (uova, pesce, crostacei, molluschi, carne, frattaglie, selvaggina) al fine di garantire un’adeguata sicurezza per i consumatori [8].
PFAS nelle uova
Le uova sono ampiamente consumate in Italia e nel mondo per il loro alto valore nutrizionale e facile reperibilità sul mercato. Diversi studi si sono concentrati sull’analisi di PFAS nelle uova di gallina, dimostrando che la presenza di questi contaminanti è strettamente dipendente dal sistema di allevamento. Uno studio dell’Università di Bologna ha messo a confronto i livelli dei 4 PFAS regolamentati, in uova di galline domestiche (da cortile) e commerciali. Sono state analizzati più di 200 tuorli (dove sembrano maggiormente accumularsi i PFAS) raccolti in un arco temporale compreso tra il 2018 e 2019, provenienti da 26 siti distribuiti in Italia. I risultati ottenuti hanno rivelato che la contaminazione era maggiore nelle uova di galline domestiche, rispetto a quelle di origine industriale. Questo sembra dovuto alla maggiore probabilità delle galline domestiche di entrare a contatto con il suolo e organismi che vivono nel suolo (es. gli insetti). I ricercatori hanno inoltre osservato che la quantità di PFAS era significativamente maggiore nei campioni raccolti nel nord Italia, dove è presente una maggior concentrazione di impianti industriali con un conseguente maggior contaminazione del suolo e dell’acqua [9].
Un’ altra interessante ricerca è stata condotta su tre categorie di uova commerciali disponibili sul mercato italiano: uova biologiche, da allevamento a terra e da allevamento in gabbia. In questo caso, l’analisi è stata allargata a una categoria più ampia di PFAS, rivelando che quelli maggiormente presenti erano i PFAS a catena più lunga, considerati quelli più persistenti. Non è stata rilevata una differenza tra le tre categorie, dimostrando che le uova commerciali italiane hanno un livello di contaminazione generalmente basso indipendentemente dal metodo di produzione. Questo è probabilmente legato alla somministrazione di cibo “controllato” e al minor contatto con il suolo rispetto a galline domestiche [10].
PFAS nella carne
Molti degli studi disponibili riguardo la presenza di PFAS nella carne si sono concentrati sull’analisi di animali selvatici, ai fini di biomonitoraggio. Il cinghiale, grazie alla dieta onnivora, è considerato uno dei migliori indicatori per i contaminanti ambientali. La capacità di questa specie di accumulare PFAS rappresenta un rischio per chi abitualmente ne consuma la carne. Dall’analisi di campioni di fegato di cinghiale prelevati da cinque diversi distretti distribuiti sul territorio italiano, è emersa la presenza di PFAS di nuova generazione, diversi da quelli attualmente regolamentati negli alimenti. Sebbene i dati della ricerca siano preliminari, la presenza di questi contaminanti in campioni di origine territoriale diversa, fornisce un chiaro indizio della loro persistenza e mobilità nell’ambiente [11].
Tra gli animali selvatici, anche il cervo è stato descritto come un buon bioindicatore per questi composti. Condividendo frequentemente i pascoli con animali da allevamento, può fornire informazioni sull’impatto delle attività umane sulla fauna selvatica e sugli ecosistemi [12].
Per quanto riguarda gli animali d’allevamento, uno studio condotto sul fegato di bovino, pollo e suino ha evidenziato che i campioni meno contaminati erano quelli di pollo. Inoltre, tra i quattro PFAS regolamentati, il PFOS è stato riscontrato in tutti i campioni di suino e bovino analizzati [13].
PFAS nel pesce
A causa dell’elevata solubilità in acqua dei PFAS, sono stati osservati livelli significativi di queste sostanze anche in diverse specie acquatiche appartenenti ad ecosistemi marini e di acqua dolce [14]. Ad esempio, sono stati analizzati e confrontati campioni di pesce di mare largamente consumati in Italia, come il branzino e l’orata e campioni di pesce di lago come il persico. In quest’ ultimi, si riscontrava un maggior contenuto di PFAS rispetto ai pesci di mare, probabilmente a causa del maggior inquinamento dei laghi rispetti ad altri ecosistemi acquatici. Tenendo conto delle quantità riscontrate, è importante sottolineare che la dose settimanale tollerabile di 4,4 nanogrammi per chilogrammo di peso corporeo stabilita dall’EFSA non veniva mai superata [15].
In un altro interessante studio, sono stati analizzati pesci provenienti da sette laghi distribuiti nell’area subalpina, un lago di pianura e due laghi alpini ad alta quota. Anche in questo caso, l’inquinamento da PFAS sembrava essere correlato al grado di urbanizzazione del bacino lacustre [16].
Conclusioni
Come sottolineato dall’EFSA, ad oggi è necessario migliorare la sensibilità dei metodi utilizzati per l’analisi dei PFAS negli alimenti, che sono normalmente presenti in tracce. Inoltre, è importante capire il ruolo della cottura e della trasformazione degli alimenti visto che la maggior parte dei prodotti non viene consumata tal quale, e i dati riportati in letteratura scientifica sono incoerenti riguardo all’impatto che ciò ha sull’esposizione. Per valutare in modo più accurato l’esposizione è quindi necessario raccogliere maggiori informazioni sul trasferimento dei PFAS lungo tutta la catena alimentare.
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[1] European Food Safety Authority (EFSA) website.
[2] F. G. Torres, G. E. De-la-Torre. Per- and polyfluoroalkyl substances (PFASs) in consumable species and food products. Journal of Food Science and Technology, 2023.
[3] E. Pasecnaja, V.Bartkevics, D. Zacs. Occurrence of selected per- and polyfluorinated alkyl substances (PFASs) in food available on the European market – A review on levels and human exposure assessment. Chemosphere, 2022.
[4] European Chemicals Agency (ECHA) website.
[5] Glüge et al. An overview of the uses of per- and polyfluoroalkyl substances (PFAS). Environmental Science: Processes & Impacts, 2020.
[6] US Environmental Protection Agency (EPA). Telomer Research Program, 2002.
[7] EFSA Panel on Contaminants in the Food Chain (CONTAM), Risk to human health related to the presence of perfluoroalkyl substances in food. EFSA journal, 2020.
[8] Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, REGOLAMENTO (UE) 2022/2388 DELLA COMMISSIONE del 7 dicembre 2022.
[9] T. Gazzotti et al. Perfluoroalkyl contaminants in eggs from backyard chickens reared in Italy. Food Chemistry, 2021.
[10] F. Chiumiento et al. A new method for determining PFASs by UHPLC-HRMS (Q-Orbitrap): Application to PFAS analysis of organic and conventional eggs sold in Italy. Food Chemistry, 2023.
[11] S. Moretti et al. Target determination and suspect screening of legacy and emerging per- and poly-fluoro poly-ethers in wild boar liver in Italy. Chemosphere, 2023.
[12] S. Draghi et al. Influence of Area, Age and sex on per- and polyfluorinated alkyl substances detected in roe deer muscle and liver from selected areas of northern Italy. Animals, 2024.
[13] C. Barola et al. A liquid chromatography-high resolution mass spectrometry method for the determination of thirty-three per- and polyfluoroalkyl substances in animal liver. Journal of Chromatography A, 2020.
[14] S. Kurwadkar et al. Per- and polyfluoroalkyl substances in water and wastewater: A critical review of their global occurrence and distribution. Science of The Total Environment, 2022.
[15] L. M. Chiesa et al. Presence of perfluoroalkyl substances in Mediterranean sea and North Italian lake fish addressed to Italian consumer. International Journal of Food Science & Technology, 2021.
[16] S. Valsecchi et al., Per- and polyfluoroalkyl substances (PFAS) in fish from European lakes: current contamination status, sources, and perspectives for monitoring. Environmental Toxicology and Chemistry, 2020.
Giulia Mastellone
Giulia Mastellone ha conseguito il titolo di dottorato presso il Dipartimento di Scienza e Tecnologia del Farmaco (Università di Torino), con una tesi sullo sviluppo di nuove strategie analitiche per la caratterizzazione fitochimica di botanicals. Dopo un periodo all’ Istituto Zooprofilattico di Torino come collaboratore alla ricerca in ambito di sicurezza alimentare, attualmente si occupa di sviluppo di metodiche ed analisi strumentale di estratti vegetali presso l’azienda Silvateam.