Indice
Come effettuare un’analisi microbica nell’industria alimentare
I microrganismi popolano praticamente qualunque ecosistema [1] e, soprattutto, interagiscono con essi per trarne i nutrienti e condizioni adatte alla loro sopravvivenza.
Ovviamente, gli alimenti rappresentano un ambiente adatto alla crescita di una vasta gamma di microrganismi, grazie ai nutrienti che contengono. Motivo per cui è importante monitorare la presenza di batteri, funghi e muffe nell’industria alimentare.
Negli stabilimenti di produzione alimentare, la sopravvivenza di specifici microrganismi può essere vantaggiosa.
Basti pensare al settore caseario, che si affida ai batteri (più nello specifico, ai batteri lattici ) per ottenere prodotti con caratteristiche sensoriali tipiche e apprezzate dai consumatori [2].
Tuttavia, la proliferazione di microorganismi in altre aree produttive può causare il deterioramento degli alimenti – incrementando il volume dei rifiuti alimentari – o persino causare una malattia nel consumatore [3].
Quest’ultimo aspetto è stato affrontato dal Regolamento CE 2073/2005 che stabilisce i criteri di sicurezza dell’alimento e di igiene del processo che le aziende che lavorano in uno specifico settore devono rispettare.
I criteri relativi all’ analisi microbica riportati nel Regolamento definiscono in alcuni casi la concentrazione massima di specifici microorganismi nell’alimento, mentre in altri ne richiedono la totale assenza nelle unità campionarie.
Identificare e quantificare la presenza di microrganismi negli impianti produttivi
L’approccio più comune e scientificamente validato prevede la realizzazione di un substrato che vada a soddisfare le esigenze nutrizionali del particolare microrganismo che si vuole individuare.
Questo substrato di coltura, insieme all’eventuale aggiunta di antibiotici che bloccano lo sviluppo di altri microrganismi di non interesse, viene utilizzato per isolare e quantificare il microrganismo target (Fig. 1).
Esistono poi substrati generici, in grado di abbracciare le esigenze nutritive di un’ampia gamma di microbi, che vengono utilizzati per fornire una stima approssimativa della carica microbica di un alimento o di una superficie industriale.
Questi metodi, definiti come “coltura-dipendenti”, nonostante siano ampiamente validati e riconosciuti anche dal legislatore, hanno un limite: individuano e quantificano solo i microrganismi di cui soddisfano le esigenze.
Data l’enorme diversità di microbi che popolano un alimento o una superficie, è impossibile mettere a punto una “ricetta” per un substrato di crescita che li abbracci tutti.
In aggiunta, alcuni di essi riescono a moltiplicarsi solo in particolari condizioni (ad esempio in assenza di ossigeno), rendendo la loro ricerca ancor più laboriosa. Inoltre, c’è da aggiungere che alcuni dei microrganismi per i quali non è disponibile un substrato adeguato possono causare malattie nell’uomo.
In altre parole, tramite metodi coltura-dipendenti non è possibile ottenere un’istantanea affidabile e realistica di una specifica comunità microbica.
Per questo motivo, è stato messo a punto un approccio totalmente differente di analisi microbica che si fonda sullo studio del materiale genetico totale (microbioma) anziché sulla capacità dei microrganismi di riprodursi in specifiche condizioni.
I vantaggi connessi all’utilizzo del microbioma
Gli step principali adottati in questo approccio “coltura indipendente” sono i seguenti (Fig. 2):
- Raccolta dei campioni (campionamento delle superfici e raccolta di un’aliquota di materie prime e prodotti finiti, nel caso dell’industria alimentare);
- Estrazione e sequenziamento ad alto rendimento del DNA microbico;
- Analisi bioinformatica delle sequenze.
In questo modo viene studiato il “microbioma”, cioè il patrimonio genetico dei microbi che popolano un determinato ecosistema.
Un approccio come quello appena descritto ha come target l’intera comunità microbica, e non un solo microrganismo.
Tra i vantaggi di questa strategia di analisi microbica vi è quello di riuscire a individuare anche specie per le quali non sono ancora note le condizioni ottimali di crescita.
Infatti, grazie agli studi sul microbioma sono state scoperte molte specie microbiche di grande rilevanza di cui, in precedenza, non vi era alcuna evidenza [4].
L’applicazione di queste tecniche per lo studio di alimenti permette di definire quali microrganismi ci sono al suo interno e soprattutto specifiche capacità.
Infatti, lo studio del materiale genetico consente di evidenziare le potenziali vie metaboliche preferite dalla comunità microbica, così da capire se i microrganismi presenti su una superficie o in un alimento sono specializzati in attività di deterioramento degli alimenti (ad esempio, produzione di off-flavors) o se, al contrario, manifestano geni di potenziale interesse tecnologico.
Inoltre, attraverso lo studio sul microbioma totale, due ceppi praticamente identici secondo i metodi coltura-dipendenti tradizionali, possono apparire molto diversi.
Tuttavia, anche un metodo coltura-indipendente presenta dei limiti. In particolare, il costo del sequenziamento non è ancora accessibile per le medie/piccole imprese, soprattutto se l’intenzione è quella di integrare questi metodi innovativi in analisi di routine.
Non bisogna poi trascurare l’importanza dell’analisi dei dati: per ottenere il massimo dall’analisi del microbioma è necessario disporre di risorse computazionali ingenti e di professionisti in grado di utilizzare specifici software per lo studio delle sequenze.
Conclusioni
Lo studio del microbioma alimentare può offrire molte informazioni e svelare percorsi metabolici altrimenti sconosciuti. Con la futura diffusione di competenze bioinformatiche e l’abbattimento dei costi di sequenziamento, queste procedure potranno essere presto usate per condurre analisi di routine.
Speriamo che tu abbia trovato la lettura di questo articolo sul sequenziamento per l’analisi microbica degli alimenti interessante. Per altri contenuti simili, consulta la sezione Blog del nostro sito web. E se vuoi restare sempre al passo con le ultime novità in fatto di Agrifood, iscriviti alla nostra Newsletter!
[1] Louca, S.; Mazel, F.; Doebeli, M.; Parfrey, L. W. A census-based estimate of Earth’s bacterial and archaeal diversity. PLoS Biol., 2019.
[2] Bintsis, T. Lactic acid bacteria as starter cultures: An update in their metabolism and genetics. AIMS Microbiol., 2018.
[3] Lorenzo, J. M.; Munekata, P. E.; Dominguez, R.; Pateiro, M.; Saraiva, J. A.; Franco, D. Main Groups of Microorganisms of Relevance for Food Safety and Stability: General Aspects and Overall Description. Innovative Technologies for Food Preservation, 2018.
[4] Nayfach, S.; Roux, S.; Seshadri, R; et al. A genomic catalog of Earth’s microbiomes. Nature Biotechnology, 2021.
Vincenzo Valentino
Laureato in Scienze e Tecnologie Alimentari presso l’Università Federico II di Napoli e dottorando in Food Science, si occupa di studiare il microbioma di alimenti in ambienti di produzione, per evidenziare le vie di contaminazione e tracciare i geni che possono alterare o migliorare i prodotti finiti o interagire con il microbioma umano.